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Questa moto è stata una svolta epocale per il successo Ducati

Lug 5, 2022

In un periodo in cui la gamma Ducati si arricchisce continuamente con diverse novità e una moto elettrica, il successo della casa di Borgo Panigale sembra quasi scontato. Non è sempre stato così e a metà degli anni settanta, i vertici aziendali erano preoccupati per lo scarso successo commerciale delle 350 e 500 cc bicilindriche che, a causa dei problemi meccanici riscontrati, si erano guadagnate l’appellativo di Demonio. Bisognava intervenire per sostituirle con un prodotto migliore e non lasciar scoperto il segmento delle medie cilindrate.

All’inizio del 1976 l’ufficio tecnico avviò la progettazione di un nuovo motore bicilindrico a “L” longitudinale che si basava sull’idea dell’Ing. Fabio Taglioni, ma che lo stesso progettista lasciò sviluppare ai più giovani collaboratori Gianluigi Mengoli e Renzo Neri. Alla fine del 1977, il prototipo non superò i collaudi perché, oltre a non dare risultati soddisfacenti, era poco affidabile. Una situazione che costrinse i tecnici a riprogettare tutta la moto.

Del motore venne ridisegnato completamente il basamento e invertito il senso di rotazione. Per la distribuzione desmodromica, l’idea originaria era quella di abbandonare il sistema a coppie coniche tradizionale del bicilindrico di Taglioni, in favore di una catena presente sul prototipo. Anche a questa venne preferita una cinghia dentata che risultava più efficiente e meno rumorosa. A metà del 1978, in Ducati avevano un motore che a banco raggiungeva 48 Cv di potenza senza mostrare problemi e si poteva passare alla fase di sviluppo.

Ci volle ancora un anno di lavoro per giungere alle omologazioni nel’ottobre del 1979. Subito messa in vendita, ebbe un crescente successo sia per le più che convincenti prestazioni, sia per l’estetica curata da Marco Cuppini. La mezzo litro sportiva, con cui Ducati sostituiva di fatto la serie precedente, venne denominata Pantah, da pantera, ricordando il ciclo salgariano già evocato con il modello Darmah.

Delle varie cilindrate 500, 350, 600, e 650, si calcola un totale di 8.498 esemplari costruiti in cinque anni. Da subito la serie Pantah mostrò una grande versatilità e ottime possibilità di elaborazione che vennero assecondate con una versione racing e un kit di preparazione realizzato da Franco Farnè (NCR), per la 600 che gareggiava con successo al Campionato Italiano Juniores. Questa spiccata sportività della Pantah ne favorì la partecipazione a competizioni internazionali come il Campionato Formula TT. Nel 1981 si presentò al Mondiale Tourist Trophy con il britannico Tony Rutter, che vinse la categoria TT2 per quattro stagioni consecutive.

Le competizioni non si sono limitate alla pista e nel 1981, l’accordo stipulato tra Ducati e Alfa Romeo portò i due marchi a partecipare congiuntamente a corse su piste ghiacciate. Una manovra pubblicitaria che vedeva gareggiare sul ghiaccio le Alfasud Sprint e le Pantah Ice Trophy. Questo modello, creato per l’occasione, non aveva i freni e le gomme da speedway su ghiaccio erano dotate di lunghi chiodi per aggrapparsi alla superficie, protetti da parafanghi maggiorati. Con una potenza di circa 60 Cv a 9.000 giri, raggiungeva quasi i 200 Km/h. Priva di carena, era concepita per le gare del Campionato Europeo speedway su ghiaccio, che si disputavano nell’area del nord Europa.

Prodotta e venduta dal 1979 al 1984, il modello Pantah segna un grande cambiamento per l’azienda bolognese che trasale dai numeri dei pezzi di allora, dato che questo motore è stato la base del successo per Ducati uscite dopo, ed ha equipaggiato motociclette sportive, enduro e da speedway anche per i marchi Cagiva e Bimota. Una svolta epocale tanto che il bicilindrico raffreddato ad aria è ancora presente sulla nuova Scrambler in tutte le cubature.

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