Dall’infinitamente piccolo all’ingegneristicamente enorme. Cos’hanno in comune il vaccino AstraZenca e una mastodontica nave portacontainer? L’esistenza del rischio e la possibilità che si realizzi. Che l’imprevisto ci cada sulla testa, che dal mazzo esca la carta inattesa ma sempre sospesa sui meccanismi della nostra società complessa e delicata. Anche se ci ostiniamo a oliarli con pazienza.
Nella sospensione preventiva del vaccino AstraZeneca, il concetto di rischio era centrale. Abbiamo soppesato gli accidenti e gli inciampi, calcolato le probabilità, per cercare di rispondere a una domanda insidiosa: è più “sicuro” il rischio della malattia o del suo antidoto? E se di sicuro c’è solo la morte, è più probabile lasciarci le penne a causa del Covid o a causa del vaccino? Meglio l’albero che cade o la foresta che si incendia, come ci ha spiegato l’ex capo di Ema Guido Rasi?
Ed eccoci lì a contare i casi di trombosi rare, a esaminare le possibilità che l’inciampo del nostro sangue sia correlato al farmaco, a mettere sulla bilancia l’idea che quell’intoppo invisibile nel flusso possa capitare proprio a noi, o ai nostri cari. E il caso, il rischio, l’eventualità, sono lì, tanto nel micromondo dei globuli rossi, quanto in quello immenso del commercio globale. Oggi una nave portaconteiner, un bestione da 400 metri e 200 mila tonnellate, ha occluso una delle principali arterie commerciali del mondo. E tutto per un soffio di vento (se di soffio si può parlare, su questa scala). Era mercoledì mattina e una improvvisa raffica ha fatto mettere di traverso la Ever Given, della compagnia Evergreen Marine Corp. L’imbarcazione si è incagliata nel canale di Suez e si teme che possa rimanere per giorni bloccata lì, da dove da 150 anni passano migliaia di petroliere, di chiatte gigantesche e da dove transita circa il 10 per cento del commercio mondiale. L’intoppo inatteso. Il rischio, che è sempre lì. Nonostante tutto l’olio.