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Quali professioni serviranno per la transizione ecologica

Apr 29, 2021

AGI – Con la nascita del governo Draghi ha visto la luce anche il ministero per la Transizione ecologica al quale sono state assegnate funzioni importanti, che sarà chiamato a gestire progetti considerevoli e che sembra destinato a essere uno dei protagonisti dell’Italia post-pandemia. Ma perché quello che ne uscirà non resti lettera morta, serve che ci siano le professioni adatte a recepirlo e metterlo in atto. Ne abbiamo parlato con Stefano Maglia già docente di diritto ambientale all’Università  di Parma, presidente  dell’Associazione italiana esperti ambientali e amministratore delegato di  TuttoAmbiente.

Sentiamo parlare sempre di più di green economy ed economia circolare. Le imprese italiane come stanno reagendo a questo lungo periodo di Pandemia?

A mio avviso non stanno ancora reagendo come meriterebbe la situazione, anche perché in casi straordinari come questi non c’è solo chi ci perde. Sicuramente non dobbiamo dimenticarci che proprio dalle crisi si sviluppano nuove opportunità, come affermava Galileo. Sicuramente il Green è una di quelle. Mi pare che per ora si stiano prioritariamente aspettando come la manna dal cielo i prossimi enormi flussi di risorse del New generation Ue, ma se non si hanno idee, progetti e visione, anche quella attesa sarà vana e non produrrà nulla. Bisognerebbe per esempio incominciare ad analizzare e farsi guidare già ora in quello che viene già offerto in termini di incentivi. Un esempio? La gestione degli scarti di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti basandosi sul concetto della simbiosi industriale. Un potenziale enorme di business, di cui mi occupo da anni, già attivo da 15 anni e mai sfruttato come meriterebbe.

Perché la sostenibilità sarà prioritaria nella ripartenza post Covid-19? 

La sostenibilità ambientale è sinonimo di attenzione allo spreco di risorse e da questa pandemia qualcosa dovremmo pur aver imparato qualcosa. Pensiamo a quanti incontri on site sostituiti da video call decisamente più eco-logiche-nomiche. Persino la nostra esperienza di TuttoAmbiente come formatori ambientali insegna molto in tal senso: da un anno a questa parte abbiamo avuto ancor più partecipanti ai nostri Master e Corsi a distanza (sia in modalità sincrona che asincrona) con una straordinaria partecipazione di persone decisamente più periferica, con molti discenti connessi dal Sud Italia, con enorme risparmio di tempo, di soldi e di CO2. Ed in tutto ciò capire le modifiche di business all’interno di una visione green ci ha permesso di aumentare il nostro fatturato, diminuendo le spese, offrendo competenze altamente professionalizzanti e avendo risorse da reinvestire in altri progetti green.

Il Recovery Plan italiano  individua 6 principali missioni e poggia su un totale di 222 miliardi di euro. In particolare, oltre 80 miliardi saranno destinati a sole due missioni “rivoluzione verde e transizione ecologica” e “infrastrutture per una mobilità sostenibile”. Il Paese è pronto a queste missioni?

Lo scopriremo solo vivendo! Per ora transizione ecologica è solo il nuovo nome del ministero dell’ambiente e per quanto riguarda le infrastrutture e la nuova mobilità certamente vedremo che progetti verranno proposti e finanziati. A far gola deve essere il raggiungimento degli obiettivi di riduzione effettiva di CO2 per combattere l’eterna “pandemia” rappresentata dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento atmosferico delle nostre città, e non l’indotto economico prodotto dai cantieri. Certamente bisognerebbe prepararsi con progetti e competenze all’altezza. Riconversione ecologica? Fantastico! Partiamo dall’ILVA?

Le piccole e  medie imprese sono attente alla gestione ambientale interna?

Per certi versi essere piccoli può aiutare in termini di elasticità gestionale e di riconversione del business in chiave green. Vedo però ancora troppo green washing e poca consapevolezza/conoscenza nella materia. Purtroppo spesso le aziende si accorgono della disciplina ambientale quando ormai è troppo tardi, spinti dalle emergenze o dare durissime sanzioni. Basti pensare a che poca conoscenza si ha dello strumento del MOG disciplinato dal Dlvo 231/01 che nelle prossime settimane compirà 20 anni e, ad agosto, ne compirà 10 la “231 ambiente”, ovvero il D.Lvo 121/11 coi reati presupposto ambientali.

Quali sono le professionalità che dovrebbero assumere?

In questo contesto le imprese dovranno investire in competenze, interne ed esterne, e le nuove professioni green saranno vincenti e molto ricercate. Dal mobility manager, al giurista ambientale, all’energy manager, all’HSE manager, al waste manager, più molte altre, potranno essere il substrato per una nuova consapevolezza ambientale aziendale su quali rischi e su quali opportunità si basa la gestione ambientale del futuro.

Si investirà in formazione?

Non c’è dubbio che si dovrà investire nelle nuove competenze ambientali per non restare indietro, ed in tal senso la formazione specifica, autorevole ed aggiornata sarà sempre più indispensabile, in una materia in continua evoluzione e dalle difficili interpretazioni. E per non rischiare contemporaneamente di perdere il treno delle nuove opportunità, non dimenticando mai l’attenzione alla sicurezza ambientale, tema assolutamente sottostimato in quanto non obbligatorio, come accade invece per esempio per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Ogni azienda dovrebbe avere la propria cassaforte green ed affidarla a chi possa gestirla con la massima competenza, autorevolezza e professionalità. E lo affermo non solo come consulente ed imprenditore, ma anche come presidente dell’Associazione italiana esperti ambientali. Mi si consenta una battuta finale: impresa e ambiente mai come oggi non solo possono coesistere, ma devono coesistere per avere entrambe un futuro sostenibile.

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