AGI C’è chi ha trasformato, anche in Italia, la propria naturale inclinazione all’ordine e all’organizzazione, in casa e sul posto di lavoro, non solo in una semplice filosofia di vita, ma in una vera e propria professione, che può garantire a chi decide di intraprenderla anche un buon reddito.
Da circa dieci anni si è diffusa la figura del ‘personal organizer’, un o una professionista che dà informazioni, dispensa consigli e fornisce assistenza a privati e ad aziende, e che insegna alle persone disordinate ‘croniche’, che desiderano uscire dal loro caos, delle semplici tecniche per aiutarle a vivere meglio e in modo più produttivo in ambienti domestici o in contesti lavorativi.
Questa figura è nata molti anni prima negli Stati Uniti e in Giappone e l’esempio più noto a livello internazionale è senza dubbio quello della 38enne scrittrice giapponese Marie Kondo, autrice di best seller, ideatrice del metodo ‘KonMari’, sistema che insegna a riordinare al meglio gli spazi della propria abitazione, per migliorare la qualità della vita. Nel 2013 in Italia è stata fondata l’Apoi, Associazione personal organizer Italia, riconosciuta anche dal ministero delle Imprese, con sede legale a Rimini, in Emilia Romagna, a cui sono iscritte quasi 290 persone che esercitano questa professione in varie regioni.
Ne faceva parte, fino a un anno fa, anche Federica Caboni, 38 anni, laureata in Economia manageriale, con dottorato in Economia e gestione delle imprese, ricercatrice all’università di Cagliari, con un posto anche da visiting professor all’Alma Mater di Bologna.
“Ho sempre avuto la tendenza a mettere in ordine e sistemare. Fin da quando ero piccola – racconta all’AGI – l’ordine è sempre stato una passione insita in me in modo naturale. Ero iscritta all’Apoi ma non ne faccio più parte per dei motivi lavorativi, perché sono dipendente pubblica e la mia attività principale è fare la ricercatrice universitaria. Far parte di un’associazione significa mettere in conto degli aspetti economici che, in questo momento della mia carriera universitaria, non mi conveniva affrontare. Non c’è, comunque, una legge che imponga di far parte di un Ordine, come nel caso di avvocati, commercialisti o giornalisti, per poter esercitare questo lavoro. In questo momento, per me fare la ‘personal organizer’ ogni tanto è una passione e la faccio compatibilmente con le disposizioni di legge. Posso, infatti, esercitare anche quest’attività fino a un limite di 5 mila euro all’anno e lo faccio se c’èun cliente o una cliente che mi interessa o una determinata situazione”.
“Con il tempo e con l’approccio agli studi universitari – dice Caboni – sono andata ad approfondire gli aspetti legati all’organizzazione dal punto di vista aziendale e mi sono appassionata a quelli che riguardano l’organizzazione del personale, delle risorse e delle materie, ad esempio”.
Marie Kondo ha fatto scuola
Sempre durante gli studi universitari, circa quindici anni fa, la ricercatrice ha iniziato a leggere e a studiare su libri che si trovavano in commercio, quando ancora questa attività in Italia non era ancora iniziata o stava appena iniziando. Negli Stati Uniti e in Giappone, invece, quella del ‘professional organizer’ era già una professione vera e propria, formalmente riconosciuta.
“La persona a cui mi sono ispirata è senz’altro Marie Kondo”, ammette Caboni, “ed è quello il mio modus operandi: appartengo in qualche modo a quella scuola, per quanto Kondo io non l’abbia mai conosciuta personalmente, ma abbia solo studiato sui suoi libri”.
Federica Caboni sottolinea che quella del ‘personal organizer’ è una professione che può offrire ottimi sbocchi professionali e garantire un buon reddito a chi decide di intraprenderla “soprattutto se si vive nella penisola, perché c’è un buon tessuto economico”.
“Si lavora non solo con i privati, ma anche con le aziende”, spiega la ricercatrice. “Ci sono anche dei professionisti, soprattutto nelle grandi città come Roma o Milano che hanno necessità di un ‘professional organizer’ che organizzi la loro giornata, con un ruolo che, però, non è come quello di una segretaria che, invece, entra nello specifico delle cose, dei prodotti e dei clienti. Il ‘professional organizer’, invece, si occupa solo di gestione vera e propria, cioè stabilisce cosa fare o cosa non fare, ma non con chi farlo, perche’ quell’aspetto lo decide una segretaria. E, per chiarire, non è neppure una persona che fa le pulizie, e non perché non sia dignitoso farle, ovviamente, ma perché il suo è un lavoro che non c’entra nulla con il concetto di igiene o di sporco da rimuovere in una casa o in un ufficio”.
Gli accumulatori seriali
Ci sono ‘personal organizer’ che lavorano anche per privati, nelle abitazioni. Esistono persone che, ad esempio, soffrono di ‘disposofobia’, e sono i famosi accumulatori seriali, che tendono a accumulare in modo disorganizzato degli oggetti, spesso di scarso valore, che invadono gli ambienti in cui si vive, fino a renderli in vivibili.
“Fino a qualche anno fa, in Italia – evidenzia Caboni – questo non era considerato un problema ed è stato riconosciuto come tale solo da qualche anno. Non esisteva perché non c’era la globalizzazione, il ‘fast fashion’, i negozi ‘Tutto a 1 euro’ e non c’era la possibilitò di avere accesso a tantissime risorse a basso costo, con pochi soldi. Si comprava, dunque, di meno e quando qualcosa di rompeva lo si aggiustava. Come non esisteva neppure l’inquinamento digitale, perché non c’erano computer e mail”.
L’ordine ‘in pillole’
Per le persone che non riescono a tenere la propria casa ordinata, il consiglio di Caboni è iniziare semplicemente a eliminare tutto ciò che è superfluo e che non si utilizza. Ad esempio, per tenere in ordine un armadio il trucco è non accumulare e di non tenere abiti che magari non stanno più, non piacciono e che non si indossano da tempo.
“Non è possibile riorganizzare dove c’è un eccesso di cose. Se si analizza tutto ciò che si possiede – chiarisce Caboni – alla fine ci si rende conto che si utilizza in media solo il 20%: di solito si tende a utilizzare solo alcune maglie, pantaloni o vestiti che si considerano ‘preferiti’. Nel frattempo, tutto il resto che non viene utilizzato si accumula. Io ho una figlia di 3 anni e mi sono già trovata a eliminare diversi suoi giochi e vestiti. Eliminare, però, non vuol dire sempre buttare nella spazzatura. Se qualcosa è nuovo o in buone condizioni ci sono altri modi per darle una seconda vita, come regalarla o venderla. In caso di riviste o giornali, invece, si buttano via, perché dopo averli letti, non ha senso tenerli”.
Sul fronte lavorativo, oggi il problema della disorganizzazione può emergere quando si ha a che fare con una mole enorme di informazioni da trattare. “Ci sono persone – afferma Caboni – che non hanno la capacità di gestire tutto quello che devono fare al lavoro. Per questo le aziende stanno iniziando a introdurre queste figure al loro interno, per insegnare ai dipendenti tecniche su come organizzare l’archivio del proprio pc, ad esempio. L’obiettivo è migliorare la produttivita'”.