Fiorenzo Magni l’etichetta di “fascista” non è mai riuscito a scollarsela di dosso, fino alla sua morte. E tre maglie rosa al Giro d’Italia non sono bastate a cancellare la camicia nera. Così sul campione di ciclismo, scomparso nel 2012, scoppia ora una nuova polemica. Il Museo della Deportazione e della Resistenza di Figline di Prato, infatti, ha rifiutato di tenere nella sua sede la presentazione di un libro sul ‘Leone delle Fiandre’, il ‘terzo uomo’ fra Coppi e Bartali, scritto dal professor Walter Bernardi, il quale parla di “censura” e accusa il museo di voler calare il “silenzio assoluto” su Magni, che nel secondo conflitto mondiale mantenne simpatie per il fascismo.
Vincitore di Tre Giri d’Italia e tre Giri delle Fiandre consecutivi, Magni avrebbe conquistato di diritto un posto nell’Olimpo degli sportivi italiani. Se non fosse per un particolare che i suoi concittadini non gli hanno mai perdonato. E cioè quello di aver scelto la parte sbagliata, di aver scelto la Repubblica di Salò nell’Italia divisa dalla guerra. E di aver partecipato, il 3 gennaio 1944 alla battaglia di Valibona, sull’Appennino Pratese, vestendo la camicia nera della Rsi. Lì, quel giorno, venne ucciso il comandante partigiano Lanciotto Ballerini, mito della resistenza toscana. Magni c’era, anche se non fu lui a sparare. Venne processato davanti alla Corte d’Assise di Firenze del 1947 e fu assolto grazie all’amnistia Togliatti. Ma il marchio fascista non ha lasciato il posto agli onori da campione. E così, negli anni, le polemiche non sono mancate. Una delle ultime un anno fa, nata dopo l’idea di intitolare una pista ciclabile nel comune di Prato ad Alfredo Martini e Fiorenzo Magni.