AGI – Ci sono anche Aldo Levi, in via Donatello 26/a, con la moglie Elena Viterbo e i figli Italo ed Emilia Amalia di appena 5 anni, la bambina del treno della morte citata da Primo Levi in ‘Se questo è un uomo’ tra le nuove 14 pietre d’inciampo posate oggi a Milano in vista del Giorno della Memoria che si celebra il 27 gennaio. Il papà Aldo era un ingegnere, capo dei servizi elettrici del Comune di Milano. Dopo il censimento degli ebrei venne identificato ed espulso. Non poteva più lavorare. Con la famiglia cercò un primo appoggio a Lodi per fuggire in Svizzera ma a Como furono arrestati tutti e deportati ad Auschwitz.
“Con i Levi eravamo molti amici, i due padri erano entrambi ingegneri e si conoscevano – ha ricordato Paola Vita Finzi, presente alla cerimonia alla quale ha partecipato anche Henriette Harris, presidente del comitato Pietre d’inciampo di Copenaghen – le madri erano tutte e due torinesi e sono venute a Milano quando si sono sposate. I Levi hanno avuto un bambino Italo che aveva la stessa età di mia sorella, erano amici. Abitavano vicini, eravamo amici d’infanzia. Per noi aver perso i Levi dopo la guerra è stato un grande dolore”.
A chi le ha chiesto che ricordo avesse della famiglia, ha risposto: “Una famiglia normale ed eccezionale ma per noi erano degli amici grandissimi e oggi mi fa piacere che vengano ricordati con le pietre d’inciampo, questa cosa mi commuove”.
“Le Pietre – ha sottolineato la presidente del consiglio comunale, Elena Buscemi – raccontano le deportazioni razziali e politiche di donne, uomini e bambini a opera dei fascisti italiani e dei nazisti. Ogni pietra posata è un tentativo ideale di riportare a casa queste persone”.
Dalla posa della prima pietra nel 2017 dedicata ad Alberto Segre, padre della senatrice Liliana sopravvissuta ad Auschwitz, diventeranno 224 a Milano i piccoli quadrati di pietra ricoperti di ottone posti davanti alle case di chi fu arrestato, deportato e ucciso perché ebreo o oppositore politico.
Le altre sono state posate davanti alle abitazioni, appunto, di 14 persone: gli antifascisti Carlo Ciocca, Paolo Volpi e Luigi Negroni, militanti della cellula comunista clandestina dello Stadera (via Palmieri 18 e 22); il piccolo Alfredo Winter con la madre Meta Marie Kuh e la nonna Karoline Meyer (via San Felice 2), ebrei tedeschi che avevano cercato rifugio a Milano prima che le leggi razziali promulgate dal regime fascista li condannassero anche in Italia.
Altre due pietre sono state posate in memoria di Francesco Basso (via Sant’Antonio 1), uno dei tanti soldati che dopo l’Armistizio rifiutarono di unirsi alle milizie della Repubblica di Salo’ e Renato Levi (via Fatebenefratelli 12), proprietario di un negozio di musica a Brera e fondatore del primo jazz club di Milano. Un’ultima pietra è stata posta per ricordare Adriano Poliaghi (via Zumbini 39), morto a soli 22 a Mauthausen. Giovane elettricista appartenente al gruppo socialista clandestino, partecipo’ alle attività di propaganda con lancio di manifestini e distribuzione di giornali. Tra i più attivi durante il grande sciopero del marzo 1944 fu arrestato per aver sabotato con alcuni compagni un tratto della linea tranviaria.
Altre 12 pietre di inciampo saranno posate il 13 marzo, anniversario dei grandi scioperi antifascisti del 1944, per ricordare: Angelo Barbaglia (via Caccialepori 4), Giovanni Bergamaschi (via Sidney Sonnino 2), Luigi Bertacchi (via Lodovico il Moro 81), Ezio Bortolotti (via Gadames 119), Luigi Del Monte, Giuseppe Levi e Samuele Levi (via Ariosto 3), Maria Fontanin Fillinich (via del Caravaggio 2), Otello Ghirardelli (via Raffaello Sanzio 4), Sergio Tornaghi (via Coni Zugna 17), Alice Ventura Battaglia (via Gallarate 41) e Danilo Veronesi (via Pedroni 9). Tra le persone ricordate c’è Alice, una donna buona e coraggiosa. Viene arrestata e deportata per aver donato la propria tessera annonaria per il cibo a una giovane incinta ma moglie di un partigiano. Lui come tanti combatte in Piemonte nelle Brigate Moscatelli. Catturato dai fascisti viene impiccato. Nelle tasche gli trovano la lettera della moglie con il racconto della donna che l’aveva aiutata dandole la sua tessera annonaria per poter mangiare. Non ha scritto chi è ma qualcuno al quartiere Gallaratese fa il nome di Alice. La polizia fascista e le SS, che hanno rastrellato il quartiere casa dopo casa, la trovano e l’arrestano. Alice è cosi’ deportata ad Auschwitz e muore da prigioniera politica. (AGI)