AGI – La drastica ristrutturazione annunciata venerdì da Boeing, che licenzierà 17 mila dipendenti, ovvero il 10% della sua forza lavoro, è tutt’altro che una sorpresa. Cinque anni fa il colosso aerospaziale americano era finito nella bufera per i disastri aerei del Lion Air 610, il 29 ottobre 2018 e dell’Ethiopian Airlines 302, il 10 marzo 2019, schiantatisi a causa di un software anti-stallo difettoso. Morirono in totale 346 persone e vennero messi a terra per 20 mesi tutti i 737 Max 8, il modello coinvolto in entrambe le tragedie. Il costruttore pagò 2,5 miliardi di dollari per chiudere l’inchiesta penale. Oggi la sua immagine è tutt’altro che migliorata, dopo mesi segnati da incidenti sfiorati su più di un volo e dal caso dei due astronauti rimasti bloccati sulla Stazione Spaziale Internazionale a causa del malfunzionamento della navicella Starliner, decollata nonostante una già nota vulnerabilità.Torneranno a casa, il prossimo febbraio, solo grazie all’intervento dell’arcirivale SpaceX.
Il 2024 era iniziato con un episodio concluso senza vittime ma decisamente impressionante. Il 5 gennaio un portellone di un 737 Max 9 della Alaska Airlines si staccò in volo, gettando i passeggeri nel panico, risucchiando i bagagli fuori e precipitando nel giardino di un insegnante a Portland, in Oregon. La Federal Aviation Administration (Faa) ordinò la messa a terra di tutti i 171 modelli con le stesse caratteristiche e ammonì che un simile sinistro “non sarebbe mai dovuto accadere e non può accadere di nuovo”.
“Una quantità eccessiva di difetti”
I primi controlli mostrarono che il portellone non era l’unico componente che era stato installato in maniera non abbastanza salda. L’attenzione si spostò su Spirit AeroSystems, divisione scorporata nel 2005, responsabile della costruzione della fusoliera e di altre parti dell’aeromobile. Documenti legali depositati per una causa intentata dagli azionisti mostrarono che ispezioni interne avevano fatto emergere una “quantità eccessiva di difetti” nell’impianto dell’azienda in Kansas e che a un dipendente fu chiesto di nascondere le criticità. La stessa Faa fu costretta ad ammettere che era tempo di fare marcia indietro dalla controversa pratica di lasciare alle aziende il compito di autocertificare la qualità dei propri prodotti.
I 737 Max 9 sarebbero tornati a volare dopo tre settimane ma un’altra agenzia federale, il National Transportation Safety Board (Ntsb), scoprì nel frattempo che ben quattro viti necessarie ad assicurare il portellone del volo Alaska Airlines alla fusoliera mancavano del tutto. Le testate specializzate iniziarono a pubblicare le rivelazioni di anonimi lavoratori secondo i quali era stata Boeing stessa, e non Spirit AeroSystems, ad aver rimontato in quel modo il portellone il giorno prima del volo. Il 21 febbraio Ed Clark, il dirigente responsabile della supervisione del programma 737 Max, lasciò la compagnia.
Le rivelazioni dei “whistleblower” (due dei quali trovati morti)
Il mese dopo sarebbe arrivato lo spietato verdetto della Faa che, dopo un mese e mezzo di indagini, denunciò “molti casi nei quali le società non sarebbero riuscite a rispettare i requisiti dei controlli di qualità industriali”, spesso a causa di dipendenti che non rispettavano i protocolli di sicurezza richiesti. La lista dei problemi tecnici, spesso dovuti a un’apparente approssimazione, sviscerata dai sempre più frequenti “whistleblower” crebbe. Negli aerei in costruzione furono trovati fori per l’installazione delle viti non effettuati in modo adeguato. L’Ntsb, da parte sua, denunciò il comportamento reticente di Boeing, accusata di rifiutarsi di condividere informazioni chiave, come ad esempio l’identità dei lavoratori responsabile dell’installazione del componente incriminato. La compagnia rispose di non essere in grado di reperire i documenti necessari.
Nel frattempo le “gole profonde” denunciarono una cultura della sicurezza deficitaria e un’insufficiente comunicazione tra i dipartimenti. Poi ne morirono un paio. Il corpo di John Barnett, apparentemente suicidatosi con un colpo di pistola, fu trovato nella sua auto, il 9 marzo. Due mesi dopo Joshua Dean sarebbe deceduto per un’improvvisa infezione.
Nuovi disastri sfiorati e il caso Starliner
Il 25 marzo l’amministratore delegato, Dave Calhoun, annunciò le dimissioni. Il suo successore, Robert Ortberg, si sarebbe insediato solo l’8 agosto. E I guai, nel frattempo, erano tutt’altro che finiti. Il 4 aprile un motore di un 737 della Southwest Airlines a Lubbock, Texas, prese fuoco in fase di decollo. Quattro giorni dopo a Denver la copertura di un motore di 737-800 si staccò durante la partenza. Le rivelazioni dei “whistleblower” diventarono uno stillicidio. Santiago Paredes, un ex dipendente di Spirit AeroSystems parlò di “centinaia di difetti” riscontrati nelle fusoliere consegnate a Boeing. L’ex filiale venne riassorbita nel gruppo ma un altro evento sarebbe presto intervenuto per mantenere i guai di un simbolo dell’industria americana sulle prime pagine dei giornali: quello della navicella spaziale Starliner, lanciata il 5 giugno con due astronauti a bordo nonostante un problema, non del tutto risolto, legato alle perdite di elio, che avrebbero impedito il rientro dell’apparecchio nei tempi previsti.
Sunita Williams e Butch Wilmore rimarranno quindi bloccati sulla Stazione Spaziale Internazionale fino al prossimo febbraio, quando saranno riportati sulla Terra da una capsula di SpaceX, un’autentica beffa dato che Boeing aveva puntato tutto su Starliner, rientrata senza equipaggio lo scorso 7 settembre, per poter competere con Elon Musk nel ruolo di partner della Nasa. A oggi le azioni del gruppo hanno perso il 40% del loro valore dall’inizio dell’anno. E il recente braccio di ferro con i dipendenti in sciopero, seguito dall’annuncio dei licenziamenti, appare come solo il capitolo più recente di una crisi strutturale della quale, al momento, la fine appare ancora lontana.