Emergono alcune telefonate intercorse tra gli uffici di Autostrade e il Coa ( Centrale Operativa Autostrade) nelle ore precedenti il crollo di ponte Morandi, e colloqui registrati dalla sala radio gestita dalla Polizia Stradale, ritenuti di particolare interesse investigativo. Sicché l’altro ieri i militari del Primo Gruppo della Guardia di Finanza, guidato dai colonnelli Ivan Bixio e Giampaolo Lo Turco, hanno sequestrato tutte le memorie conservate dal server della Direzione del Primo Tronco, a Sampierdarena.
In quelle comunicazione si parlava delle condizioni precarie del viadotto? Se questa cosa fosse vera — dicono magistrati e investigatori — sarebbe la prova regina. Tanto che i finanzieri sono rimasti negli uffici e nella sala radio del Coa fino alle otto di sera, prelevando decine di bobine che stanno riascoltando in queste ore.
Una partita blindatissima. Cosa cercano gli uomini del Nucleo Investigativo, è presto per dirlo. Ma trapela che l’attività parta da una segnalazione interna, da una “ soffiata”. Qualcuno sarebbe andato in Procura e avrebbe suggerito ai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno ( i titolari dell’inchiesta) “ma perché non andate ad ascoltare i contenuti delle telefonate intercorse prima del crollo?”. Cosa si dicono i funzionati di Aspi prima del disastro, cioè la mattinata del 14 agosto scorso o il giorno precedente? Chi parla e chi ascolta dall’altra parte del telefono? Qualcuno ha notato qualcosa di anomalo sul viadotto ed ha fatto la segnalazione al Coa? E i poliziotti l’hanno inoltrata ai vertici di Autostrade?
Seppure trapeli che il sequestro delle registrazioni miri ad appurare se anche da quelle comunicazioni, oltre a mail, chat e sms che si sono scambiati funzionari e dirigenti, si possa evincere la consapevolezza da parte di Aspi dello stato di degrado della struttura.
L’attività fa parte dell’inchiesta che per la morte di 43 persone vede indagate 21 persone — tra dirigenti di Aspi, Spea ( azienda delegata al monitoraggio della rete autostradale) e Ministero delle Infrastrutture — e le due società: chiamati a rispondere non più di omicidio colposo plurimo, disastro colposo, attentato alla sicurezza dei trasporti e di omicidio stradale, ma di “ colpa cosciente”, reato che sconfina nel dolo. La nuova formulazione dei capi di imputazione non è un esercizio linguistico, ma una aggravante che da una parte permette di compiere particolari attività investigative e dall’altra in caso di condanna determina un aumento di pena di un terzo. Per la Procura nasce dalla considerazione che “gli indagati erano consapevoli del rischio di crollo, ma ritenevano di poterlo evitare”.