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Picasso il surrealista nella città surreale

Apr 8, 2017

“Vieni a Napoli, è la città per te”. È l’invito che il poeta Jean Cocteau rivolge a Pablo Picasso che non vuole schiodare dai cieli molli di Roma e dalle confortevoli stanze della sua suite all’Hotel de Russie. “Sto bene qui e poi c’è il Papa!”. Ma l’amico, che lo conosce a fondo, non demorde. “È vero, a Roma c’è il Papa. Ma a Napoli c’è Dio”. E il malagueño si mette in viaggio. Con lui arrivano Leonide Massine, stella dei Ballets russes, Sergej Diaghilev il principe dei coreografi e l’étoile ucraina Olga Kokhlova della quale Pablo si innamora follemente, e di lì a poco sposa. Siamo nel marzo del 1917 e i cinque sono in Italia in cerca di ispirazioni per il balletto Parade, con musiche di Eric Satie e testo di Cocteau.

Cominciato quasi controvoglia, il rapporto tra l’autore di Guernica e la città della sirena si trasforma ben presto in un’attrazione fatale. Destinata a lasciare un segno decisivo su molti dei capolavori del maestro. Folgorato dall’esuberanza sensuale della vita di strada partenopea, dalla sua antichità incarnata nei gesti e nei corpi. E la visita a Pompei mette il suggello definitivo a questo incantamento estetico. È come se il pittore andaluso avvertisse, sotto il brontolio del vulcano, il rumore dei secoli stanchi di premere il suolo, per dirla con il suo conterraneo Federigo García Lorca.

A Napoli, come ha fatto notare Luigi Gallo – curatore insieme a Sylvain Bellenger della bellissima mostra “Picasso Parade Napoli”, che si inaugura oggi al museo di Capodimonte e a Pompei – Picasso trova cibo, sesso, folclore. Si cala nella vita degli antichi. E nella storia amniotica del “popolo più popolo del mondo”, nel suo slancio vitale, l’artista trova quel fondo scuro dell’umano che non ha mai smesso, né smetterà mai di cercare. Non a caso il soprintendente Bellenger sottolinea che Picasso e i suoi amici trovano a Napoli e a Pompei l’ispirazione che segna la fine del cubismo e la nascita del surrealismo. E a Napoli il surrealismo è nelle cose e deriva da un eccesso di realtà, da un accumulo ingestibile di storia. Con una propensione naturale per il bricolage. Che non a caso era nel dna delle avanguardie dell’epoca.

Così il vitalismo napoletano diventa agli occhi dell’artista e dei suoi amici, una sintesi fra antico e primitivo, l’incarnazione vivente di quel minimo comune denominatore selvaggio che Picasso cercava nelle maschere africane, negli idoli preistorici, come nelle pitture pompeiane. Ma anche in quella archeologia splendidamente vivente che era, ai suoi occhi, la stratificata umanità napoletana. Insomma, quella che il grande storico dell’arte Roberto Longhi chiamava l’immensa “metropoli mediterranea, più classicamente antica di Roma stessa e insieme spagnolesca e orientale”. È ben per questo che a Roma c’era il Papa e a Napoli c’era Dio. O meglio c’erano gli dei in libertà, una sorta di sovraffollamento politeistico che riempiva strade, piazze e fondaci come una scheggia anarchica di passato, un frammento della classicità misteriosamente sopravvivente.

“Mio caro Jean, cantiamo canzoni napoletane e siamo molto felici”, scrivono Pablo e Olga a Jean Cocteau qualche settimana dopo. E sulla cartolina, Olga, pittrice oltre che ballerina, disegna lo skyline del golfo con il Vesuvio fumante. Che fabbrica tutte le nuvole del mondo e scaglia giacinti sui marciapiedi, come amava dire Cocteau.

Dopo il soggiorno napoletano, Picasso non sarà più lo stesso. E la parola del passato, che ha ascoltato forte e chiara fra Napoli e Pompei, gli detterà fantasie piene di echi. Dal Pulcinella al Flauto di Pan. Fino alle Donne che corrono sulla spiaggia, chiaramente influenzate dalle menadi pompeiane della Villa dei Misteri.

Insomma il viaggio in Italia ha colpito ancora. Dalla Napoli di Goethe a

quella di Picasso ritorna in sovraimpressione l’idea delle due Europe. Quella nordica che si è scrollata di dosso il passato e quella mediterranea, la sensuale frontiera dell’Occidente, dove l’antico è vivo e lotta in mezzo a noi. Un’immagine che dura da secoli e che è all’origine, nel bene e nel male, del fascino perdurante di Partenope. Di nuovo presa d’assalto da schiere di viaggiatori in cerca di giacinti sui marciapiedi.

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