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Petrolio superstar con l’accordo Opec. Milano tiene alle vendite in Europa

Dic 1, 2016

MILANO – Ore 10:00. Il balzo del petrolio ha reso vivaci le Borse asiatiche, mentre i listini europei aprono deboli dopo la crescita della vigilia: Milano cede lo 0,2%, Parigi e Londra arretrano dello 0,15% e Francoforte dello 0,35%. Il prezzo del greggio vola, con il Wti sopra 50 dollari al barile, dopo l’intesa firmata dal cartello Opec: dopo 8 anni, i Paesi produttori capitanati dall’Arabia Saudita sono tornati ad accordarsi per tagliare la produzione giornaliera di 1,2 milioni di barili a quota 32,5 milioni. Ulteriori sforzi sono chiesti a Paesi esterni al cartello, ma vicini ad esso, come la Russia. Sui mercati asiatici i future sulla qualità Wti del petrolio salgono di 64 cent a 50,08 dollari, per la prima volta sopra 50 dollari da ottobre. I future sul Brent europeo sono saliti nella serata di ieri di oltre 4 dollari fino a un picco da sei settimane di 52,35 dollari al barile.

Ricca l’agenda macroeconomica di giornata, a partire dall’Italia dove l’Istat segnala il calo del tasso di disoccupazione all’11,6% a ottobre, in attesa dei dati sui conti pubblici. Importanti poi i dati Pmi sul settore manifatturiero dalle principali economie: un indice sopra 50 punti indica la fase di espansione. In Germania, l’indicatore scende a novembre da 55 a 54,3 punti, mentre in Italia si rafforza da 50,9 a 52,2 punti: per le industria del Belpaese si tratta del maggior incremento di ordini e produzione degli ultimi cinque mesi. Positivo nel complesso l’andamento del manifatturiero dell’Eurozona, con il relativo Pmi in progresso a 53,7 punti, da 53,5. Negli Usa, infine, si attendono le richieste di sussidi per la disoccupazione e le spese per le costruzioni. L’euro apre sopra 1,06 dollari e il biglietto verde frena dopo il rally di ieri, legato all’accordo Opec sul petrolio. La moneta europea passa di mano a 1,0616 dollari e 120,99 yen.

Petrolio superstar con l'accordo Opec. Bond, un novembre da -1.700 miliardi

Il lento recupero del petrolio dopo il tracollo avviato nell’estate del 2014. Dove può arrivare il greggio dopo l’accordo Opec per il taglio alla produzione? Secondo gli analisti, non bisogna attendersi un gran rally. Secondo Morgan Stanley, la ripresa dei prezzi porterà ad attivare più trivelle nei campi shale negli Usa e quindi più investimenti asiatici nel Mar del Nord: la produzione tornerà abbondante e potrebbe sorprendere i mercati nella seconda parte del 2017. Secondo Goldman Sachs, nella prima parte del prossimo anno si arriverà a superare quota 60 dollari al barile, ma è poi possibile che scatti un elastico che riporterà il greggio in area 50 dollari a fine 2017.

Sono d’accordo dalla giapponese Mitsui & Co.: “Il petrolio può salire fino a 60 dollari, ma poi i produttori di shale verranno fuori e quindi probabilmente il prezzo scenderà di nuovo, dice il cfo della casa di trading asiatica a Bloomberg.

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Resta stabile lo spread Btp-Bund, sensibile nelle passate sedute all’incertezza in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre. Il differenziale tra titoli di Stato italiani e tedeschi a dieci anni si attesa questa mattina a 171 punti, mentre il rendimento sale leggermente e torna al 2%. Bloomberg nota che il mese di novembre è stato disastroso per l’anamento delle obbligazioni: il Bloomberg Barclays Global Aggregate Total ReturnIndex ha perso il 4 per cento lost 4 percent in November, il maggior ribasso dall’avvio del paniere nel 1990. L’accresciuta fiducia verso la crescita americana e la promessa di Trump di mettere in campo mille miliardi di dollari di tagli fiscali e investimenti infrastrutturali ha riportato in alto i rendimenti, insieme al fatto che la Federal Reserve alzerà i tassi a dicembre. A livello globale, la fuga dall’obbligazionario ha eroso 1.700 miliardi di dollari dal valore dell’indice di novembre, mentre la capitalizzazione delle azioni è salita di 635 miliardi.

Alcuni dati sono già affluiti da Oriente: l’indice Pmi di novembre ha segnato in Cina un allungo a quota 51,7, da 51,2 di ottobre, ai massimi da luglio 2014. Il dato, che è un primario indicatore dell’attività manifatturiera soprattutto delle grandi imprese a controllo statale, è superiore alle stime degli analisti di 51. L’indice calcolato dalla rivista finanziaria Caixin, tarato più sulle piccole e medie imprese private, registra un calo e si attesta pur sempre un passo robusto: 50,9 dal 51,2 di ottobre. Anche in Giappone il manifatturiero è stato oggetto d’indagine: il Pmi è rimasto sostanzialmente fermo al 51,3 a novembre rispetto al 51,4 di ottobre, che era stato il dato più alto da gennaio; il risultato è al di sopra delle previsioni di 51,1. La Borsa di Tokyo ha chiuso in mattinata in netto rialzo con l’indice Nikkei in progresso dell’1,12% a 18.513,12 punti: si tratta dei livelli massimi dell’anno, alimentati dal recupero del petrolio. Chiusura allineata e in moderato rialzo per Shanghai e Shenzhen, in Cina: +0,7%.

Wall Street ha chiuso debole l’ultima seduta di novembre, che resa comunque caratterizzato dai forti rialzi legati all’effetto-Trump. L’elezione alla presidenza Usa del repubblicano ha portato i trader a scommettere su stimoli dell’economia Usa attraverso tagli alle tasse e progetti infrastrutturali: ieri i titoli energetici si sono messi in mostra grazie al rally del petrolio, con il settore energetico in salita del 4,8%. Dopo avere toccato nuovi record subito dopo l’avvio degli scambi, il Dow Jones ha ridimensionato il suo slancio guadagnando solo lo 0,01%, l’S&P500 ha perso lo 0,27% e il Nasdaq l’1,05%. Nel mese, l’indice delle 30 blue chip ha messo a segno un rialzo del 5,4%, massimo di marzo; a novembre ha registrato 8 record superando per la prima volta quota 19.000 punti, il 22 novembre. L’indice benchmark ha aggiunto il 3,4%, il bilancio migliore da luglio, e quello tecnologico il 2,9%. Da ultimo, non si arresta oggi l’indebolimento dell’oro: il metallo con consegna immediata cede l’1,4% a 1173 dollari l’oncia.

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