• 24 Novembre 2024 0:20

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Perché tutti i pezzi utili a spiegare l’origine della vita vanno studiati insieme

Mar 5, 2024

La ricerca sui meccanismi molecolari che hanno portato all’origine della vita non è mai stata così fiorente: sempre più risulta chiaro che, anche se non riusciremo probabilmente mai a ricostruire esattamente lo specifico processo storico che ha dato origine a tutto ciò che oggi chiamiamo vivo sul nostro pianeta, esistono in realtà un gran numero di alternative possibili, sicché il cumulo delle loro probabilità indipendenti e la varietà delle condizioni chimiche in grado di innescare i singoli processi utili nei più svariati angoli dell’universo può persino portare a ipotizzare più solidamente di un tempo che la vita sia apparsa indipendentemente più volte nel cosmo.
 

Tuttavia, come argomentato in un nuovo editoriale su Nature, proprio il successo delle tantissime e indipendenti linee di ricerca che sempre più attraggono ricercatori di ogni sede e disciplina sta portando a un paradosso: lo sviluppo e l’approfondimento di una moltitudine di modelli chimici per singoli passaggi essenziali a creare la vita come la conosciamo oggi, senza darsi pena di integrare fra loro tutti i pezzetti di conoscenza coerente in un quadro coerente, che possa pur con qualche lacuna ancora da colmare portare da precursori chimici abbondanti almeno sul nostro pianeta primitivo, fino almeno al primo replicatore darwiniano e da qui alla prima cellula. Consideriamo, per esempio, anche solo l’ultima settimana del febbraio appena trascorso.
 

Tre formidabili lavori hanno dimostrato come si sia potuti arrivare a partire dalla chimica prebiotica a selezionare molecole tutte di una particolare simmetria, come quelle che osserviamo in tutti gli organismi viventi, come si sia potuto formare un composto centrale nel metabolismo di tutti gli esseri viventi e come infine abbiano avuto potere origine spontanea membrane fatte proprio nel modo in cui sono fatte le membrane cellulari. Tutto è stato pubblicato in una sola settimana o poco più, su riviste prestigiose e riportando dati eccezionali, mentre anche solo dieci anni fa lavori simili avrebbero fatto la loro comparsa forse una volta all’anno, a testimoniare l’impeto che caratterizza l’attuale progresso verso la definizione dettagliata di come possa funzionare l’abiogenesi.
 

Meraviglioso, senz’altro; ma, come giustamente fanno osservare gli autori dell’editoriale che ho citato in apertura, ogni lavoro dimostra un singolo passaggio, per quanto importante, senza preoccuparsi degli altri. Nello specifico, questo implica una serie di problemi importanti.
 

Il primo di questi problemi è la compatibilità tra le condizioni prebiotiche ipotizzate nei differenti lavori. Se per esempio, in linea teorica, certe condizioni plausibili per la Terra primitiva possono portare alla formazione di membrane indistinguibili da quelle cellulari, non è detto affatto che quelle stesse possano consentire la formazione del precursore metabolico appena riportato; anzi, molto spesso, se debbo giudicare la letteratura sin qui pubblicata, assistiamo all’ipotesi di condizioni chimiche di partenza radicalmente diverse – pur se compatibili con diversi ambienti terrestri – le quali rendono improbabili il contemporaneo svolgersi dei processi variamente pubblicati.
 

Il secondo problema è ben noto a chiunque lavori nei laboratori di chimica: molto spesso, in miscele complesse lo svolgersi di un certo insieme di reazioni chimiche avvelena con i propri prodotti l’ambiente, rendendo improbabile l’accadere di altre reazioni; è per questo fondamentale che chi ipotizza un certo percorso prebiotico come utile a produrre un certo precursore essenziale degli organismi viventi, tenga conto anche di quanto è stato descritto per altri precursori, valutando la compatibilità della chimica che descrive con quella descritta da altri, con altri obiettivi.
 

I chimici usano un termine inglese preciso per indicare il fatto che certe reazioni possono convenientemente avvenire nello stesso ambiente, e questo termine “one-pot”. Ecco: ciò che è servito alla formazione dei precursori degli organismi viventi deve essere avvenuto il più possibile nello stesso ambiente, perché, anche se è possibile ipotizzare che i diversi componenti si siano formati separatamente e siano poi venuti a miscelarsi grazie a processi di trasporto geochimici, resta il fatto che, per replicarsi, la vita ha bisogno di riprodurre tutti i suoi componenti in un singolo posto.
 

Credo dunque che sia particolarmente appropriato l’invito con cui si apre il citato editoriale di Nature: “Per svelare l’origine della vita, bisogna trattare i risultati come pezzi di un puzzle più grande. Spiegare i passaggi isolati nel percorso che porta dalle sostanze chimiche semplici agli organismi viventi complessi non è sufficiente.”

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