• 19 Marzo 2025 22:54

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Perché la retorica di Coldiretti contro la carne coltivata e sul “cibo naturale” non regge

Mar 19, 2025

A commento della manifestazione indetta da Coldiretti per il 19 marzo a Parma, di cui abbiamo già discusso su queste pagine, è uscita un’interessante lettera sull’Avvenire, firmata dal professor Felice Adinolfi, a cui val la pena dare qualche risposta, sia nel merito che nel metodo.

Per farlo, sia consentito riprendere puntualmente i contenuti di Adinolfi, in modo da poter riferirsi con precisione a quanto egli afferma e a scanso di ogni equivoco. Cominciamo dunque dall’inizio del suo scritto, laddove dice: “Caro direttore, se un’organizzazione come la Coldiretti, che rappresenta milioni di agricoltori e consumatori, decide di manifestare oggi, mercoledì 19 marzo, a Parma e di interloquire con le istituzioni europee su un tema così cruciale, è comunque un bene”.

Non dubitiamo affatto che Adinolfi consideri “comunque un bene” portare gli agricoltori a scandire slogan davanti all’EFSA, a sostegno di pretese di Coldiretti circa la carne coltivata: egli, infatti, è stato il direttore, e oggi risulta coordinatore, del “Centro Studi Coldiretti -Divulga”, un ente che ha sede presso Coldiretti a Roma ed è diretta sua promanazione, come si evince dal nome stesso. Un’informazione che Adinolfi sorprendentemente omette nel suo scritto.

Troviamo poi che questo bene, comunque associato all’evento, si giustifica particolarmente “nel caso dei cibi a base cellulare, i cui risvolti economici e sociali potrebbero essere dirompenti.” Perché, aggiunge il professore, “si tratta di prodotti brevettati, che richiedono ingenti investimenti e competenze per essere sviluppati e distribuiti”. Intanto, non si capisce perché siano da avversare i prodotti dell’agricoltura che richiedono ingenti investimenti e competenze per arrivare al mercato: non è forse questo il futuro cui proprio Coldiretti fa appello, quando, per esempio, promuove la ricerca e lo sviluppo dei prodotti TEA? E riguardo poi la proprietà intellettuale: a parte che proprio la Coldiretti, attraverso i suoi uffici sul territorio, promuove il servizio marchi e brevetti, soprattutto essa protegge con i denti e con ogni forma di ostacolo possibile prodotti come per esempio il Parmigiano, il cui consorzio è guidato da Nicola Bertinelli, uomo Coldiretti tra quelli che chiedono di trattare la carne coltivata come un farmaco. Poi ci si meraviglia se altri enti e imprese, anche italiane, intendono fare lo stesso con il prodotto della propria inventiva e dei propri investimenti? E vogliamo ricordare il brevetto israeliano alla base del pomodoro Pachino, altra bandiera di Coldiretti?

Dopo questa intemerata sui brevetti, seguendo lo spartito orchestrato dal volantino di Coldiretti, si spiega come Parma sia stata scelta proprio in quanto sede di EFSA, e come “aprire un dibattito” con essa non debba essere letto come un tentativo di condizionamento. Oggi, 19 marzo, l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare Europea, EFSA, è chiusa per i dipendenti che devono lavorare da casa e è aperta solo per accogliere una delegazione di Coldiretti che ha piazzato il suo palco di fronte alla sede dell’Agenzia. Traffico paralizzato in città e questioni di ordine pubblico hanno consigliato di tenere a lavorare da remoto i dipendenti dell’Agenzia. Un brutto segnale da parte dell’Italia verso l’unica agenzia europea che ospitiamo. La mente corre subito a quel miliardo e mezzo di fondi sfumati quando abbiamo perso per un soffio la possibilità di ospitare una seconda agenzia europea, l’EMA: l’agenzia europea per i medicinali. Ma se le trattiamo così le agenzie, poi non possiamo dolercene.

Ma il dibattito è necessario, Adinolfi: “Sarebbe strano il contrario: non aprire un dibattito su un tema così rilevante […] sarebbe preoccupante”. Per capire meglio: una manifestazione di piazza con decine di migliaia di aderenti a Coldiretti che scandiscono slogan per equiparare la carne coltivata a un farmaco, sarebbe questa la forma di apertura del dibattito con l’EFSA cui si dovrebbe auspicare? Solo perché la cosa è stata impedita, non sono arrivati i trattori; altrimenti certamente il dibattito con EFSA ne avrebbe guadagnato in qualità. Il punto, tuttavia, è che vietare lo sviluppo della carne coltivata non è possibile; quindi, la strategia è di immettere tanti ostacoli, tanti test e tantissimi soldi per superarli, così da imporre un divieto di fatto, ma non di nome. L’espediente retorico è quello di invocare il cibo “naturale”, come se noi mangiassimo del cibo naturale. Oramai nessun alimento è naturale (per fortuna nostra), sono tutte piante addomesticate per essere più nutrienti, più succose, più dolci, più masticabili: nessuna di queste piantata in un bosco riuscirebbe a sopravvivere. Poi sono piante naturali la cicuta o il ricino: ma non sono buone nonostante siano naturali.

Ma passiamo oltre. Subito dopo, Adinolfi scrive: “Sebbene non abbia competenze in campo medico e nutrizionale, esiste un documento del tavolo tecnico interministeriale sui cibi cellulari, redatto da studiosi autorevoli, che suggerisce di includere studi clinici e preclinici nel processo di valutazione di questi alimenti”. Ora, il documento cui ci si riferisce è probabilmente lo stesso cui si riferisce il volantino di Coldiretti, presente sul sito del Ministero della Salute. Esso dà alcune scarne indicazioni, riportando innanzitutto le linee guida di recente approvate in Unione Europea, e aggiungendo considerazioni nell’indicare alcune supposte migliorie; da nessuna parte, però, si fa riferimento a studi clinici, se non nel titolo di un allegato ulteriore di pochissime, genericissime righe, intitolato “Ulteriori considerazioni per l’analisi obbligatoria degli studi clinici e preclinici (nel frattempo sparito dalla pagina del ministero della Salute cui fa riferimento il volantino di Coldiretti). A parte il merito dei documenti prodotti dal tavolo tecnico, vi è una ben più importante questione di metodo: come già altri hanno fatto notare, i componenti di tale tavolo sono infatti i rappresentanti istituzionali degli enti coinvolti, cinque, e poi altri cinque membri, che guarda caso provengono tutti dalla Fondazione Aletheia di Coldiretti, la quale è poi partner della stesso “Centro Studi Coldiretti -Divulga” cui è affiliato Adinolfi. Eccola, la voce della scienza cui Coldiretti invita a dare ascolto: quella targata Coldiretti.

Oltretutto, scrivere come fa Adinolfi che “sensibilizzare l’agenzia” – cioè EFSA – “su questi aspetti significa riconoscere il suo ruolo e promuovere un dialogo più intenso tra istituzioni, mondo scientifico e cittadini” è un pleonasmo: EFSA già conduce valutazioni e analisi proprio a partire dagli studi e dalla letteratura scientifica, e così farà quando giungerà la richiesta di un parere in merito a uno specifico prodotto a base di carne coltivata (come peraltro si indica nelle stesse linee guida commentate dal tavolo tecnico del ministero). La carne coltivata deve superare un’infinità di prove e valutazioni da parte di EFSA. E ci potrebbero volere anni per ottenere un via libera. E anche se lo ottenesse poi si dovrà verificarne il reale impatto ambientale, la competitività economica del prodotto finale, il gradimento al gusto del pubblico. Sarebbe meglio leggere i rapporti tecnici di EFSA e poi fare delle valutazioni, invece di dimostrare una paura preconcetta verso l’innovazione scientifica.

Continuiamo nell’analisi dell’articolo sull’Avvenire. Scrive Adinolfi: “Il progressivo incremento di alimenti ultra-formulati a scapito di quelli naturali è una piaga sanitaria globale, che rischia di dilagare ulteriormente. I cibi a base cellulare ne rappresentano, in un certo senso, la sublimazione”. In quale senso? A parte che la definizione di cibi “ultra-formulati”, nella sua vaghezza, tutto è fuorché scientifica, mentre quella di cibi “naturali” fa semplicemente ridere, per quale motivo la carne coltivata sarebbe un cibo a base cellulare peggiore del lievito e dei suoi derivati che consumiamo quotidianamente? E perché un alimento come la carne coltivata sarebbe la sublimazione dell’ultra-formulazione, mentre per esempio una lasagna no?

Continuiamo. In cauda venenum, è proprio il caso di dire, perché in chiusura Adinolfi scrive: “L’Efsa non è la scienza, ma un’agenzia che utilizza la scienza per compiere delle scelte” – sin qui purissimo Lapalisse – “ma oggi il vero pericolo non è l’influenza del potere politico o di un’organizzazione agricola, per quanto rappresentativa. Il rischio più grande viene dal mercato e dai suoi colossi economici, mille volte più forti e penetranti.” E chi scrive queste cose? Guarda caso, uno stretto collaboratore di Coldiretti. Quella Coldiretti che ha piazzato cinque esperti su dieci in un tavolo tecnico che dovrebbe essere indipendente, che mobilita decine di migliaia di persone in piazza davanti a EFSA, e che è in grado di fare il bello e il cattivo tempo con i governi di destra, di sinistra e di centro da almeno cinquanta anni nel nostro paese, e che è capace di predire quale sarà il prossimo Ministro dell’Agricoltura e di piazzare dirigenti a piacere nel suo Ministero.

Cioè, noi dovremmo temere il mercato e i fantomatici colossi della carne coltivata, mentre la povera piccola Coldiretti è solo una vocina fra tante che cerca di farsi sentire.

Ma per piacere, almeno risparmiateci l’ipocrisia sulla difesa di inesistenti “cibi naturali”, della salute pubblica e del futuro dell’alimentazione.

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