“La carne coltivata arriva nei supermercati”, si legge in questi giorni su testate diverse, a volte anche specializzate nel settore come quella del Gambero Rosso.
A Singapore, infatti, l’azienda produttrice statunitense “Eat Just”, che aveva già lanciato i suoi prodotti in un ristorante locale, il Bistrot della Huber’s Butchery, ha annunciato la commercializzazione in un supermercato della sua nuova carne coltivata di pollo “Good Meat 3”. Una prima mondiale nell’offerta diretta ai consumatori, che, ovviamente, è stata annunciata con l’opportuna fanfara mediatica, e che poggia su un prezzo particolarmente aggressivo, intorno a 5 dollari per una confezione da 120 grammi.
Tuttavia, al di là delle dichiarazioni ottimistiche dell’azienda e dei sostenitori della carne coltivata, se c’è una cosa che può fermare l’arrivo di un nuovo prodotto e l’adozione di una nuova tecnologia, quella è il mercato, molto più che non le grottesche dichiarazioni del ministro Lollobrigida o le invettive e le fuorvianti comunicazioni di Coldiretti.
Un primo indizio della realtà, al di sotto delle comunicazioni pubblicitarie, proviene da una frase strana, per un prodotto appena lanciato: il ceo dell’azienda produttrice ha infatti annunziato che Good Meat 3 sarà disponibile “per tutto il 2024”. Un simile annuncio, che limita la sicurezza del rifornimento ad un periodo di pochi mesi per un prodotto appena lanciato, suona alquanto strano, ed è in realtà la spia di una crisi che tutti i primissimi pionieri del nuovo e futuribile settore della carne coltivata stanno affrontando.
La Eat Just, dopo aver ottenuto l’approvazione per il suo primo prodotto dal regolatore di Singapore a dicembre del 2020, inaugurò a giugno del 2022 il più grande impianto di carne di pollo coltivata a Singapore, allo scopo di produrre “centinaia di tonnellate” di carne all’anno. Così, all’inizio del 2023, grazie alla citata collaborazione, il primo ristorante di Singapore, primo e unico al mondo, cominciò a servire il pollo coltivato a circa 23 dollari la porzione.
Eppure, dopo un solo anno, a marzo di quest’anno, Eat Just ha sospeso la produzione di carne coltivata in laboratorio presso lo stabilimento di Bedok; la Huber’s Butchery aveva intanto già dalla fine del 2023 smesso di offrire la carne coltivata ai suoi clienti. Si comincia così a capire perché l’azienda dichiara che il nuovo prodotto sarà disponibile fino alla fine del 2024: deve ovviamente rassicurare il mercato che non si ripeterà quanto già accaduto.
Ma cosa è successo, dietro le quinte, a Eat Just? Molto semplice: oltre a non aver conquistato le quote di mercato che ci si aspettava alla velocità che si riteneva, i costi sono stati così alti da finire in controversie legali con i suoi fornitori, In particolare, il produttore dei bioreattori usati per la coltivazione da Eat Just, cioè l’azienda ABEC, ha intentato una causa rivendicando il mancato pagamento di 100 milioni di dollari; e questa non è neppure l’unica controversia legale che ha colpito l’azienda.
Alla luce dell’impatto dei costi sulla produzione, risulta che, almeno nella prima fase, l’ottimismo degli investitori è stato prematuro e troppo alto; ed è a questo punto che vale la pena di considerare un po’ più da vicino il nuovo prodotto appena lanciato nel supermercato di Singapore, ovvero “Good Meat 3”. Il numero nel nome sta ad indicare che il totale di carne coltivata presente è pari al 3 per cento del totale, mentre il restante 97 per cento è di origine vegetale. In precedenza, al ristorante si serviva un prodotto composto al 70 per cento di carne coltivata; la differenza è evidente, ed il motivo di questo cambiamento chiaro – è l’unico modo per abbassare a sufficienza il prezzo del prodotto offerto ai consumatori. Ma un prodotto che contiene solo il 3 per cento di carne coltivata può essere realmente distinto da un surrogato interamente vegetale della carne? E, di fronte a questa percentuale, che fine fanno tutte le ottimistiche dichiarazioni sulla fine degli allevamenti, sull’impatto ambientale, e soprattutto sulla capacità di sostituire davvero la carne, meglio di quanto non avvenga oggi con prodotti interamente vegetali?
Eat Just non è la sola azienda a scontrarsi con gli scogli del mercato, dopo aver avuto il vento degli investitori in poppa.
Il suo competitore diretto negli Usa, la Upside Food, ha ricevuto l’approvazione per i suoi prodotti lo scorso anno; ma per ora vende in un solo ristorante USA il suo pollo coltivato, che lo offre un solo giorno al mese ad un massimo di 17 clienti.
Sempre a Singapore, l’azienda Shiok Meats, dedicata alla produzione di carne di granchio, aragosta ed in futuro di pesce, è anch’essa in cattive acque: la sua co-fondatrice Sandhya Sriram ha scritto un post su LinkedIn in questo mese sul doloroso processo di licenziamento del 50% del suo personale nel 2023 (e sugli abusi online che ha subito). Ha parlato dell’entusiasmo che gli investitori e i media avevano per il suo prodotto di carne di crostaceo coltivata, e di come anche la sua azienda ha presto affrontato la sfida perenne di ridimensionare la produzione da quella di un laboratorio industriale a quella di un fornitore alimentare – lo stesso problema che affligge le aziende Usa menzionate in precedenza. Shiok Meats si fonderà quindi con Umami Bioworks, un suo competitore diretto, sperando in questo modo di unire le forze per riuscire a crescere di scala; ma è presto per dire se questo basterà.
In sostanza, stiamo osservando gli effetti di un mix di ottimismo irrealistico da parte degli investitori, seguito dalla consapevolezza che la scienza dietro il prodotto non poteva soddisfare la domanda dei consumatori per prezzi bassi e volumi di produzione elevati, il che ha portato ad una forte diminuzione del capitale immesso proprio nello stadio iniziale della creazione del mercato.
È possibile che la carne coltivata, con buona pace dei sovranismi alimentari, arrivi davvero nei supermercati; ma di certo la ricerca è solo una delle tessere che stabiliscono come e quando questo succederà, e saranno le innovazioni tecnologiche nel ciclo produttivo e più in generale di mercato a determinarne il successo.