AGI – Chilometri di coste lungo lo Stivale e la siccità che avanza: tra cambiamento climatico e coltivazioni ‘bruciate’, in Italia la tecnica della desalinizzazione per rendere potabile l’acqua del mare avrebbe “enormi potenzialità di sviluppo” ma è frenata dai ‘lacci e lacciuoli’ normativi che rendono sempre più difficile la costruzione di nuovi impianti.
Questa in sintesi l’analisi dell’economista Alessandro Marangoni, intervistato dall’AGI, e autore del paper “la desalinizzazione, una risposta alla crisi idrica” elaborato dalla società italiana Althesys (di cui è ceo) e dalla spagnola Acciona. “Questa tecnologia – spiega – ha avuto un forte sviluppo negli anni che ha permesso di ridurne molto i costi e non avere impatti ambientali significativi. Oggi la desalinizzazione ha una grande diffusione in Paesi che storicamente hanno problemi di approvvigionamento idrico come Israele, in Medio Oriente o l’Australia ma anche in ambito europeo come ad esempio in Spagna”.
Al contrario, in Italia “questi impianti non sono stati ancora sviluppati e oggi con l’ultima previsione della legge ‘Salvamare’ diventa ancora più complicato costruirli. Questa ultima normativa – osserva l’esperto – complica il processo autorizzativo per cui allunga i tempi e prevede una Valutazione di impatto ambientale che nella maggior parte dei casi potrebbe essere non necessaria trattandosi di impianti che hanno impatti ambientali limitati”.
Altri ostacoli si smarcano dalla normativa esistente e, sempre secondo l’economista, si legano a tre fattori: “la mancanza di strategia di lungo periodo, gli interessi contrastanti e le opposizioni pseudo-ambientaliste”. Per quanto riguarda il secondo punto “molte zone dell’Italia, come ad esempio le isole minori sono rifornite con navi cisterne e se mettiamo questi impianti togliamo business a questo tipo di attività. Per fare un esempio è come chi ha i traghetti sullo Stretto di Sicilia che non vuole il ponte”.
Guardando al futuro “tenuto conto che il fenomeno del cambiamento climatico peggiorerà c’è bisogno in determinate aree di soluzioni strutturali: di impianti stabili di taglia industriale che magari impiegheremo due tre anni a realizzare ma che poi – sottolinea Marangoni – sul territorio funzioneranno per altri due o tre decenni. Gli impianti di desalinizzazione di piccola taglia possono essere soluzioni solo temporanee, per problemi specifici come nelle isole minori dove nei periodi turistici c’è un forte aumento di domanda di acqua”.
Dissalare acqua dal mare, in modo costante, dunque come soluzione non immediata ma come possibile chiave di volta per affrontare la carenza idrica nei prossimi anni. Invece per far fronte all’attuale emergenza siccità “ci si doveva pensare prima, come hanno fatto in Spagna dove – ricorda il ceo di Althesys – hanno realizzato dei desalinizzatori di taglia industriale. La città di Barcellona per buona parte del suo approvvigionamento si basa su un impianto di questo tipo che è uno dei più grandi di Europa e serve buona parte del centro urbano”.
Dunque questa tecnica “non risolve il problema della siccità di queste settimane ma avremo pronta la soluzione per emergenze future“. Ai ‘segnali’ di una potenziale crisi idrica non è corrisposta una pronta reazione. “In alcune aree del sud già da qualche anno è in atto un processo di desertificazione quindi – continua Marangoni – questi impianti si potevano fare qualche anno fa, in alcune zone della Sicilia o della Sardegna. Anche in Pianura Padana sono alcune estati che hanno problemi con l’agricoltura, la destinazione principale dell’acqua dolce. Quando troviamo nei supermercati le arance che arrivano dalla Spagna invece che dalla Sicilia è perché – conclude l’economista – sono state prodotte con l’agricoltura alimentata grazie a questi sistemi”.