Alessandro Vocalelli
domenica 31 dicembre 2017 08:35
La Juve corre con il genio di Dybala e le scelte di Allegri, che sa come pungolare i campioni e gestire una rosa di prima grandezza. I bianconeri hanno dunque sbancato Verona, con il fuoriclasse argentino capace di chiudere una partita che stava diventando rischiosa, scivolosa, dopo la rete dell’ex Caceres.
È stato in quel momento che la Juve ha avuto una rabbiosa reazione e ha ritrovato il suo gioiello, che ha assorbito le ultime panchine e risposto sul campo come sanno fare i più grandi. È così che la Juve ha replicato al Napoli, disegnando una classifica che – alla fine del girone d’andata – ha preso una fisionomia più precisa, con la coppia di testa capace di scavare un solco significativo con il resto della concorrenza. Per Sarri ed Allegri, insomma, un primo accenno di fuga, in uno slalom parallelo di altissimo livello.
Il resto della giornata – oltre alla bellissima vittoria del Cagliari a Bergamo e al primo successo in serie A del Benevento – ha fatto registrare il vivace dibattito sull’utilizzo del Var. Già, sull’utilizzo del Var, non semplicemente sul Var, che resta un’innovazione da difendere, perché aiuta a correggere gli errori. Sì, ma una volta giudicato positivamente lo strumento, viene da chiedersi – e lo hanno fatto gli allenatori – se poi lo strumento venga utilizzato nel modo giusto, o almeno con l’uniformità che servirebbe. A Firenze, ad esempio, si è fatto sentire Pioli, assolutamente a ragione, chiedendosi perché nessuno ha avvertito l’arbitro – e se è stato fatto, perché l’arbitro non ne ha tenuto conto – del fallo di Romagnoli che al di là di qualsiasi valutazione soggettiva avrebbe meritato il rosso. Le espulsioni, d’atronde, sono proprio un esempio di scuola: in casi del genere, per aiutare l’arbitro a non sbagliare, bisogna intervenire e accendere un riflettore sull’episodio. Ecco, la domanda è questa: ma in base a cosa si decide di dare un conforto al direttore di gara o no? Di sicuro non si può sostituire la discrezionalità dell’arbitro – che tanti danni ha fatto in passato – con la discrezionalità del Var a suggerire un intervento che corregga l’errore.
Ne sa qualcosa, anzi molto più di qualcosa, la Lazio. E anche se non tutti hanno capito il discorso di Inzaghi – addirittura in tv c’è stato chi lo ha invitato a cambiare argomento – non c’è dubbio che il tecnico laziale abbia invece molte ragioni nel farsi sentire. Non per l’episodio di San Siro – in cui Rocchi si è giustamente corretto non assegnando il rigore – ma per quello che in un recentissimo passato hanno dovuto sopportare i biancocelesti. Se l’arbitro ha sentito correttamente il dovere di andare a riguardare le immagini alla moviola, perché altrettanto non ha fatto Giacomelli in Lazio-Torino? Invece di troncare la discussione, in nome di chissà quale principio, sarebbe molto meglio parlarne, lasciar parlare Simone Inzaghi che giustamente pone un problema di utilizzo del Var. È solo così, non mettendo la testa sotto la sabbia, che si migliorano le cose e il prodotto calcio italiano cresce di valore. Insomma, è un bene che il nostro campionato abbia fatto da apripista all’innovazione tecnologica, ma non è possibile ignorare il coro di critiche che ne sta accompagnando il modo di metterla in pratica. Certo è che la Lazio, semplicemente correggendo tutti gli errori degli arbitri, avrebbe una classifica ben diversa e non sarebbe stata addirittura costretta a fare a meno di Immobile, per una protesta legata proprio a un’azione in cui – palesemente – gli sarebbe stata riconosciuta la totale ragione.
Il Var è stato decisivo anche nel pareggio della Roma. Di Francesco, in questo caso, ha puntato l’indice sui tempi di controllo, sulle pause, che costringono giocatori e spettatori a gioire, ad aspettare, a volte eccessivamente, spezzando così il ritmo oltre all’entusiasmo. Anche in questo caso è bene parlarne, come però la Roma deve parlare al suo interno di questa difficoltà di far gol che sta diventando significativa, se non preoccupante, per una squadra che giustamente ambisce a traguardi importanti. La Roma è alle prese con l’inserimento, badate bene non col problema, di Schick, ma anche con numeri complessivi legati ai gol degli attaccanti. Le sei punte romaniste – da Dzeko a Schick, da Perotti a El Shaarawy, da Defrel a Under – hanno finora segnato quindici gol. Meno di quanti ne hanno fatti da soli Icardi (17) e Immobile (16), poco più di quanti ne hanno fatti da soli Dybala (14) e Quagliarella (12). Certo, i problemi legati agli infortuni sono stati parecchi. Ma è difficile tacere sulla rinuncia a un giocatore come Salah – anche se i dirigenti ci hanno detto che è stato lui a voler partire – che in Premier ne ha già messi insieme 17. Il mercato è fatto sì di acquisti, ma purtroppo anche di cessioni che pesano parecchio.