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Password, a quali lettere volete affidare la vostra vita?

Dic 2, 2018

Una parola. Una parola sola. A quale parola affideresti – no: hai gi affidato la tua vita? La tua bacheca, le tue foto delle vacanze, la tua posta, il tuo cloud dove, cos dicono, finisce tutto come sulla luna dell’Ariosto, le cose dimenticate che per sappiamo ci sono ancora, catalogate, accatastate, stoccate, e possiamo riprendercele quando vogliamo, anche se poi non vogliamo mai. Qual la parola che hai scelto per aprire la porta che separa la tua vita da quella filtrata, schermata, digitalizzata? Password, parola d’ordine, perch un comando – apriti, mondo! – e il solo modo che ormai conosciamo per organizzare la nostra esistenza da un’altra parte. A patto che sia davvero un altrove.

Una volta, la password sembrava una cosa per pochi. Per privilegiati. Per lite, come si liquidano sprezzantemente oggi. Era, per dire, Fidelio di Eyes Wide Shut, l’esempio forse pi rilevante, di certo quello finale, prima della grande rivoluzione che ci ha travolti, rivoluzionari nostro malgrado. Stanley Kubrick, da grande visionario qual sempre stato (lui s), aveva gi capito tutto.

Aveva compreso che i nostri sogni, le nostre aspirazioni, il nostro agire sociale, tutto questo sarebbe stato concentrato in un’unica via d’accesso, un’unica parola. Tom Cruise che fa il suo ingresso al party mascherato e vizioso oggi ciascuno di noi che – tutti i giorni, tutti i minuti – apre la porta di Facebook e dei suoi fratelli. Altro che lite, adesso. L’altro giorno passata alla radio la canzone con cui Umberto Tozzi e Raf sono tornati a fare coppia a pi di trent’anni da Gente di mare (ne sentivamo la mancanza? Vabb, non importa). Dice: Se sei povero o ricco, uno della casta, giovane o vecchio iconoclasta, la password uguale, e la trovi cliccando sul cuore. Ecco: il cuore. Il centro di tutto l.

Mica nelle sequenze numeriche che regolano la tecnologia. il battito animale (cit.). Le lettere che scegliamo come chiave d’accesso all’oltremondo (cos lo chiama Alessandro Baricco nel suo saggio sul tema, The Game, da poco pubblicato da Einaudi) sono come un altro organo vitale.

Pensavamo di aver dato la nostra vita all’algoritmo. Alle fotine. Alle note vocali. Di pi: alle emoji. Le parole non contano pi, ci hanno insegnato, ora bastano le faccine. E invece una singola parola – scritta, indelebile, epigrafica – conta pi di tutte. E quella singola parola, udite udite, definisce noi stessi. Alla fine di ogni anno, la societ sviluppatrice di software SplashData stila la lista delle 100 peggiori password (vedi elenco in questepagine) utilizzate tra Stati Uniti ed Europa occidentale.

Alla fine del 2017, tra queste figuravano starwars (posizione numero 16) e iloveyou (new entry alla 13). All’ultimo posto thunder, al primo 123456, proprio come nell’annata precedente. Al secondo, non uno scherzo, password.

In mezzo s’intercettavano sport (football), utopie (freedom ), pigrizie quotidiane (hello). Stando alle stime dei ricercatori, il 10 per cento degli aventi un qualsivoglia account ha usato una di queste 100 parole come password. Magari fosse tutto cos semplice. Magari bastasse scegliere ciao o libert.

Sappiamo che non cos, non pi. Col tempo, la parola che deve digitalmente rappresentarci e simbolicamente definirci si piegata a requisiti molto severi. Forse per questo, quelle raccolte nella classifica sono sbagliate, rischiose,stupide. Troppo facili.

Ci vuole invece, suggeriscono gli esperti e di conseguenza ogni luogo digitale a cui dobbiamo avvicinarci, almeno una lettera maiuscola. Un numero, o pi di uno. Un carattere speciale, qualunque cosa significhi, ora finalmente l’abbiamo capito (asterisco, cancelletto). Non mica cos immediato. E soprattutto: come facciamo poi a ricordarcela, quella parola? Io, per quel che vale, ho fatto una lista nelle note del telefono. Un elenco di tutte le password. Di tutte le chiavi per aprire tutte le porte. Come in My Blueberry Nights di Wong Kar-wai, dove il barista Jude Law raccoglieva in un vaso i mazzi di chiavi dimenticati dai clienti: io questa serie di parole me la immagino cos.

Sappiamo tutti qual il rischio.

Pure lo smartphone ha una sua parola d’ordine (vabb, un codice), e se si perde anche quella? Come si ritrovano tutte le altre? Non voglio nemmeno pensarci.

Non so quanti condividano la lista delle password, so che ciascuno ha il proprio stile, nella ricerca della sua parola. Qualcuno la cambia ogni volta: data di nascita del figlio maschio per la mail, data di nascita della femmina per il servizio clienti Esselunga, e cos via. Qualcun altro usa sempre la stessa, eternamente modificata. Tipo me: il nome di un’attrice e un numero. Solo che a volte non basta. Ci vogliono – appunto – anche le maiuscole e i caratteri speciali. Va bene, aggiungiamoli. Non basta nemmeno quello.

La tua password non sicura. Quella la bastonata. Potremo mai lasciare la nostra vita nell’insicurezza? La modifichi ancora (cognome dell’attrice e un altro numero che ricordi il primo). E poi di nuovo. Avanti cos, fino a perdersi. La parola che avevamo scelto per rappresentarci e definirci diventa altre due parole e poi tre, e poi dieci, e poi quante, si confondono, per forza poi scegliamo quelle sbagliate, la Rete che tutto decide ha stabilito che sono giuste solo per noi, quelle parole.

E allora, se non vanno bene, magari siamo noi a essere sbagliati. O forse basta non prendere tutto troppo sul serio. Noi, le nostre parole, la nostra vita. Baricco ha intitolato il primo capitolo di The Game semplicemente cos: Password. solo un gioco. l che ci conduce la chiave che apre tutto.

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