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Paolo Frascani: “Noi, fragili e vitali anche se la politica non ci ha mai aiutato davvero”

Gen 7, 2017

NAPOLI. Colpisce perché a giorni uscirà un suo libro da Laterza, “Napoli, viaggio nella città reale”. Paolo Frascani, storico e professore dell’Università Orientale di Napoli, ha usato per un caso proprio l’aggettivo che è il pomo della discordia tra il sindaco de Magistris e Roberto Saviano: “reale”.

Frascani, quale è veramente la “città reale”, quando si parla di Napoli?

“Una città a doppia faccia, che si muove da sola perché la politica non l’ha mai aiutata né prima né adesso, sui sentieri dell’economia, ma soprattutto si trasforma morfologicamente e anche nei suoi assetti sociali, il che significa che non è catalogabile facilmente in termini di marginalità e ceti medi, ma vuol dire che sta cambiando”.

Questo è collegato con quanto sostiene il sindaco: e cambia in meglio?

“Sì, se andiamo ad analizzarla è in cambiamento. Il sistema manifatturiero soprattutto nel tessuto della città metropolitana, non è fermo; e c’è il tema delle start up, delle trasformazioni tecnologiche in atto, che si possono documentare. Non mi sentirei insomma di fare un quadro nero. La classe dirigente è un altro grande tema, ma credo che su questo siamo molto in ritardo”. Perché? “Per l’impoverimento demografico, questa città ha perso due generazioni di upper class, quelli della mia età non hanno un solo figlio a casa, sono tutti all’estero. E poi c’è un’altra questione: l’invecchiamento delle idee. Per dirne una, i beni culturali sembra siano diventati un tabù: intoccabili”.

Lei parla di principio di realtà: quindi a Napoli non è uno solo?

“Bisogna vedere pezzo per pezzo che cosa sta cambiando davvero. Il resto sono chiacchiere. Sta cambiando una cosa, come scrisse Giuseppe D’Avanzo in alcune pagine bellissime del ’93: la regressione plebea della città, il fatto che si parla un napoletano diverso, il fatto che ormai gli oggetti del loro culto, Pino Daniele o Maradona, si possono manifestare al San Carlo. Sono falsi binari”.

La cosa che non cambia, però, è che si spara.

“Certo questo non avviene in altre città d’Italia. Mi ricorda la paura che provai vedendo un film spagnolo del ’76 in cui i bambini di un’isola si coalizzarono ed eliminarono tutti gli adulti. È una questione decisiva, perché significa il fallimento della scuola, la regressione culturale. Il problema di questi segnali è che non può essere una realtà come la vede il sindaco di Napoli. Il turismo è stato un fatto importante e di riscatto, ma ciò non vuol dire. Bisognerebbe valutare la qualità culturale del napoletano di oggi, la sua trasformazione, il fatto di essere tante cose insieme ma anche debole sul piano economico e sociale. I baretti, la movida, daranno qualche lavoro temporaneo ai giovani. Ma il dato di fondo è che per un napoletano “non bisogna studiare”, la scuola è un optional. Il principio delle università è scardinato, e la democrazia moderna per funzionare ha bisogno anche di sapere. Apprezzo molto Roberto Burioni, il medico anti- bufale che ha detto : “Ha diritto di parola solo chi ha studiato”. Lo diceva per scienza, ma vale per tutto”.

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