FRANCOFORTE – Feierabend è un termine intraducibile quanto sacro. È letteralmente “la festa della sera”, sono le ore dedicate dopo il lavoro alla famiglia, agli amici, al divertimento, al riposo. E una volta, chi viveva in Germania sapeva che dopo le cinque del pomeriggio era difficilissimo trovare qualcuno in ufficio, dopo le otto ore canoniche di lavoro i tedeschi spegnevano tutto e andavano a casa. Il tempo libero era sacro. Tanto che da alcuni anni grandi aziende come Daimler avevano persino introdotto il divieto di leggere mail nel fine settimana.
Ma i tempi cambiano e sarebbe ipocrita far finta di non vedere che miriadi di persone cominciano a leggere le mail di lavoro già la mattina, quando sono nella metro che li porta in ufficio. O che non rinunciano a una telefonata lavorativa la sera, dopo aver messo al letto i figli. Eppure, un rapporto del Sachverstaendigenrat, dei cosiddetti “cinque saggi” di Angela Merkel che sostanzialmente fotografa lo status quo, ha fatto sobbalzare sulla sedia sindacati e lavoratori quando ha proposto di abolire, tout court, la giornata delle otto ore.
Il presidente dei cinque consiglieri economici del governo, Christoph Schmidt, ha spiegato che “ormai l’idea che la giornata lavorativa inizi la mattina in ufficio e si concluda con l’abbandono pomeridiano dell’azienda, è obsoleta”. Nell’epoca digitale, ha aggiunto, alcune tutele dei lavoratori sono troppo rigide: “le aziende hanno bisogno della certezza che non infrangono la legge se un impiegato partecipa di sera a una conferenza telefonica e se a colazione legge le mail”. E nel rapporto presentato all’inizio di novembre, i “cinque saggi” hanno dunque suggerito di cancellare i limiti giornalieri – al momento sono otto ore, massimo dieci, con obbligo di recupero del riposo nel semestre – e lasciare soltanto il tetto settimanale di 48 ore.
La discussione è anche entrata a far parte delle attuali, spinose discussioni per il nuovo governo Merkel. L’eventuale esecutivo ‘Giamaica’ potrebbe prendere l’impegno a riformare il diritto del lavoro nella direzione di una definizione più flessibile dell’orario del lavoro. Anche perché la richiesta ufficiale delle associazioni degli industriali è da tempo quella di un limite settimanale e non più giornaliero.
Clemens Fuest, direttore dell’Ifo di Monaco, spiega a Repubblica che “c’è bisogno di una maggiore flessibilità, in un mondo globalizzato e flessibile. E non solo per venire incontro agli interessi delle imprese. Molti lavoratori vogliono una maggiore libertà per organizzarsi il lavoro. Perché non concedere loro di lavorare un giorno più di otto ore e altri giorni meno?”.
I sindacati tedeschi, però, non si fidano. Pensano che sia un modo surrettizio per allungare la giornata lavorativa. Il presidente della Dgb, Reiner Hoffmann, ha attaccato Schmidt, accusandolo di “negare la realtà, se crede che in Germania prevalga il modello nove-cinque”: i tempi sono cambiati e per molti lavori vale già una deroga perenne alle otto ore, argomentano i rappresentanti dei lavoratori. Abolire il limite giornaliero significherebbe soltanto legittimare abusi.
“Non penso che sia così”, commenta Fuest. Anche l’economista fa notare come già oggi il confine tra ore lavorative e tempo libero sia “meno netto” e propone un periodo transitorio, “in cui rendiamo le regole più flessibili e osservare come si sviluppano le giornate lavorative. Non si può escludere che in certi settori o in qualche azienda si registrino abusi, ma in questo caso si potrebbe fare marcia indietro”.
Quella della rivoluzione in atto dell’orario di lavoro, peraltro, è una questione che si incrocia con quella più ampia – e drammatica – della robotizzazione e della digitalizzazione che stanno spazzando via molti più posti di lavoro di quanto non ne creino. Nell’ultima settimana, due colossi come Deutsche Bank e Siemens hanno annunciato migliaia di esuberi nonostante un’economia tedesca che è tornata a rombare al ritmo del 2% e che proprio secondo i “cinque saggi” rischia di surriscaldarsi. Il binomio crescita uguale occupazione sembra si stia spezzando.
Fuest, però, invita a un maggiore ottimismo: “nella storia economica ci sono sempre state rivoluzioni tecnologiche, in cui molte attività sono diventate obsolete e altre sono nate. Nel 1900 il 38% dei lavoratori tedeschi era impiegato nell’agricoltura. Oggi sono il 2%, nel frattempo sono nati moltissimi posti di lavoro in ambiti nuovi. Non c’è nessun motivo per credere che stavolta sarà diverso”.