I primi ad arrivare lo fanno durante la notte, con un barchino che non fa fatica a scivolare sul mare piatto come l’olio. Sfiorano quasi la sagoma della Sea Watch inchiodata a un miglio dal porto di Lampedusa, la motovedetta li affianca e li fa approdare: sono 17 tunisini.
Il silenzio accompagna la seconda notte agli arresti domiciliari di Carola Rackete, il comandante della nave, la capitana. Scandisce il conto alla rovescia verso l’udienza di convalida del suo arresto: accuse durissime. È stanca, quasi prostrata, il volto affilato. È preoccupata. Però tira fuori tutta la grinta quando ripercorre il momento in cui ha deciso il blitz: «Tutte le persone a bordo avevano capito che le assicurazioni di una soluzione veloce erano un bluff. Se uno di loro avesse compiuto un gesto di disperazione non me lo sarei mai perdonato». Un sospiro. «Ho preferito rischiare io, sono pronta ad affrontare qualunque cosa». Non rimarrà a lungo in Italia. Se sarà scarcerata, è già pronto un provvedimento di espulsione del ministero dell’Interno. In serata i pm hanno chiesto la convalida dell’arresto e il divieto di dimora in provincia di Agrigento.

Il team della Ong la difende e va all’attacco: «Carola si è scusata con la Finanza, ma non per essere entrata in porto. Anche se è stato violato un alt, è stato un comportamento irresponsabile che si sia fatto un tipo di manovra ostruttiva nei confronti di una nave che non voleva certamente minacciare o bombardare». Ancora: «Le forze dell’ordine non hanno bloccato chi ci stava insultando».

Ma la domenica sonnacchiosa e caldissima di Lampedusa è scossa da un secondo allarme. Altri undici vengono sbarcati a terra, hanno bisogno dell’assistenza medica, sono l’avanguardia dei 55 individuati dalla Open Arms. Dopo sei mesi di stop, la nave dell’Ong spagnola è ripartita da Napoli ed è tornata a incrociare in acque internazionali. Parte la segnalazione: «C’è una barca di legno proveniente dalla Libia con 55 persone a bordo, tra cui 4 bambini e 3 donne incinte». È la zona di soccorso di Malta, ma Malta non interviene. Arrivano due motovedette della Guardia Costiera e della Finanza e anche in mare aperto ci sono momenti di nervosismo e di contrapposizione. Racconta l’equipaggio della Open Arms: «La nave della Finanza si è avvicinata molto e il comandante ha urlato: mi metti la prua addosso?». Poi la tensione si dissolve. Le persone soccorse vengono divise. Gli 11 diretti a Lampedusa arrivano nel primo pomeriggio, per gli altri 44 le destinazioni sono Pozzallo e Licata.

Va raccontato: tutti gli avvenimenti tumultuosi delle ultime ore turbano ben poco la vita di Lampedusa, che scorre tranquilla sul bel corso Roma mentre l’aeroporto riversa centinaia di turisti. L’isola è vaccinata, da anni: «Ne abbiamo viste di peggio». La Sea Watch è al largo e da qui, dal piccolo porto, sembra un modellino. Anche l’interesse dei turisti dopo la notte della crisi, tutti a volerla vedere e indicare, è evaporato in poche ore.
Maria Rosa Tomasello

L’equipaggio circondato dal mare cerca di far arrivare a Capitan Carola il suo appoggio, oltrepassando idealmente le mura della sua prigione casalinga: «Siamo tutti orgogliosi di lei, ma siamo anche molto preoccupati». Dice Oscar, studente berlinese di 26 anni da due anni volontario a bordo: «È la donna più coraggiosa che io abbia mai incontrato in tutta la mia vita». È ancora stordito per gli avvenimenti delle ultime ore. Li racconta così: «Siamo ancora sotto choc per quello che è accaduto la notte dello sbarco, non ci aspettavamo quelle reazioni scomposte da parte delle persone sulla banchina. Non capivamo cosa dicessero ma avevamo capito che erano insulti nei confronti di Carola, eravamo preoccupati per lei. È stato terribile».

I salvatori e i salvati. A bordo della Sea Watch c’era Khadim Diop. Ha 24 anni, è originario del Senegal e non si nega alla telecamera di Euronews: «L’unica cosa di cui avevamo paura è di essere rispediti in Libia. Ma Carola ci diceva sempre di non preoccuparci, che non saremmo tornati». L’immigrazione è fatta di equilibri delicati e le analisi sommarie, da una parte e dall’altra, davvero aiutano poco a districarsi nella complessità di un dramma. Così a sorpresa proprio da questo giovane etiope dalla storia terribile arriva un moto di comprensione per le posizioni italiane: «Conosco Salvini e credo che in parte abbia ragione. Vuole che l’Europa faccia la sua parte sui migranti, non si può lasciare sola l’Italia. C’è crisi ovunque, non è facile per nessuno».