Ci siamo. Abbiamo dall’Inghilterra il primo studio su scala piuttosto ampia che tratta esplicitamente diversi fattori confondenti e che valuta l’effetto della diffusione di Omicron nella popolazione inglese. I ricercatori dell’Imperial College di Londra hanno confrontato 11.329 persone con infezioni da Omicron confermate o probabili con quasi 200.000 persone infette da altre varianti. Finora, dicono i ricercatori, non vi è “nessuna prova che Omicron abbia una gravità inferiore a Delta, giudicando dalla proporzione di persone risultate positive che riportano sintomi, o dalla proporzione di casi che cercano cure ospedaliere dopo l’infezione”. Al contrario, la probabilità di avere sintomi più o meno severi, in associazione con l’infezione da Omicron e dopo correzione in base allo stato vaccinale, all’età e ad altri fattori, risulta indistinguibile da quella associata a Delta.
Cosa dice lo studio dell’Imperial College su Omicron
Si conferma la bassa protezione di due dosi di vaccino vista in altri studi, con l’efficacia contro i sintomi compresa tra 0 per cento e 20 per cento dopo due dosi (0 per cento per AstraZeneca) e tra 55 per centro e 80 per cento dopo una terza dose con vaccino a Rna. Controllando per stato vaccinale, sesso, età, etnia, sintomatologia, provenienza geografica e periodo di infezione, le probabilità di reinfezione con Omicron sono 5,4 volte maggiori rispetto a quelle di reinfezione con Delta. Inoltre, “la protezione contro la reinfezione da Omicron offerta da un’infezione passata potrebbe essere inferiore al 19% per cento”. Al momento, il tempo di raddoppio è stimato a meno di 2,5 giorni.
La distribuzione di Omicron per età, regione ed etnia attualmente differisce notevolmente da Delta, indicando che la trasmissione di Omicron non è ancora uniforme nella popolazione. Considerata l’immunoevasività della nuova variante, questo dato potrebbe rimanere tale per molto tempo. Una rondine non fa primavera, e lo studio dei ricercatori inglesi deve essere ancora revisionato dai pari; tuttavia, si tratta del primo studio su una popolazione molto ampia di soggetti infettati, in grado di controllare una quantità di fattori confondenti grazie alla sua potenza statistica sufficiente. Inoltre, questo studio è in accordo numerico con tutte le stime precedenti sulla trasmissibilità di Omicron e con quelle circa l’effetto protettivo offerto dai diversi vaccini, sin qui derivate da studi di minore dimensione e peggio controllati; per il momento, dunque, e a meno di sorprese notevoli, resta lo studio migliore che abbiamo a disposizione.
Perché è importante accelerare con le terze dosi (e continuare a indossare la mascherina)
Restano alcuni potenziali effetti confondenti che neppure questo studio può esaminare: in particolare, l’interazione fra ospedalizzazione e parametri multipli (per esempio, stato vaccinale ed età) non è possibile nemmeno con il campione considerato, perché i ricoverati in ospedale non sono ancora in numero sufficiente. Inoltre, sebbene il sottocampione dello studio in cui l’infezione da Omicron è stata accertata con sequenziamento si comporti esattamente come quello in cui Omicron è stata determinata mediante semplice Pcr, vi è pur sempre la possibilità (remota) che altri ceppi si nascondano nei risultati dei test di Pcr. Sulla base di questi risultati, e in assenza di dati migliori a smentirli, possiamo affermare che con buona probabilità è il nostro sistema immune a proteggerci, dopo stimolazione temporalmente prossima con un vaccino; il virus, dal punto di vista della severità della malattia, non rivela per il momento cambiamenti sostanziali, mentre invece si diffonde con una rapidità estrema e contagia anche i vaccinati. A meno che altri studi di simile o maggiore dimensione non smentiscano i ricercatori inglesi – cosa che può ancora accadere, visto che per ora si tratta di una singola analisi – dobbiamo quindi confermare che ciò che si deve fare è chiaro: vaccinare con una terza dose, indossare mascherine (di livello adeguato) e diminuire le interazioni sociali quando possibile, tenendo conto che un virus che si propaga molto velocemente finisce per esaurire il serbatoio di suscettibili altrettanto velocemente, e di esaurire quindi la sua spinta epidemica.