Chi non ha mai sentito dire che la soluzione alla crisi economica italiana risieda nell’investire nella ricerca? Con un efficiente trasferimento tecnologico della ricerca, le nuove scoperte diventano soluzioni reali. Immaginate ricercatori che vincono il Nobel per ricerche di base e altri che ne comprendono la portata pratica e, insieme a piccoli investitori, puntano sul miglioramento della sostenibilità viticola.
Da questa combinazione nasce EdiVite, spin-off dell’Università di Verona, che ha unito le scoperte di Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna – vincitrici del Premio Nobel nel 2020 per la scoperta delle forbici molecolari CRISPR/Cas9 – con i dati del genoma della vite sequenziato nel 2007, e con le tecniche di coltura in vitro dei vegetali. In soli tre anni, EdiVite è arrivata a produrre viti Chardonnay geneticamente editate, le prime al mondo, dotate di una precisa mutazione che le rende meno suscettibili alla peronospora.
Tuttavia, esiste un grande ostacolo: la legislazione. Secondo il Regolamento europeo 2001/18, queste viti sono Ogm, anche se ottenute con un metodo inesistente all’epoca in cui la normativa è stata scritta, quindi non possono essere coltivate per scopi commerciali in Italia. La giovane start-up non si ferma: un avanzamento tecnologico così rivoluzionario deve poter diventare un business model.
Intanto, anche nel mondo politico, cresce l’attenzione verso innovazioni utili alla sostenibilità e nel decreto Siccità del 2023 viene introdotta una semplificazione normativa per consentire almeno la sperimentazione di queste piante in pieno campo, mantenendo comunque le valutazioni del rischio ambientale. EdiVite ha così potuto sfruttare questa opportunità per preparare il dossier e inviare la notifica al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Seguono alcune interlocuzioni e verifiche per appurare che le manipolazioni del Dna fossero avvenute in laboratori confinati autorizzati, cosa che EdiVite ha potuto dimostrare agevolmente, lavorando all’interno del dipartimento di Biotecnologie.
La questione si è quindi spostata sulla valutazione del rischio ambientale del rilascio in campo. Nonostante la difficoltà di comprendere quale reale rischio ambientale possa derivare da una pianta di vite con una singola mutazione genetica che riduce l’uso di fitofarmaci, la normativa sugli Ogm va rispettata alla lettera. I tecnici dell’Ispra, incaricati della valutazione ambientale, hanno compreso le difficoltà di applicare una norma obsoleta alla nuova fattispecie e hanno supportato EdiVite nel processo. Dopo tre mesi, finalmente è arrivata l’autorizzazione per il rilascio sperimentale delle piante, con tutte le cautele previste per gli Ogm.
A questo punto, il campo sperimentale è pronto: 250 metri quadrati per ospitare 10 piante, di cui 5 geneticamente editate e 5 di controllo. Sono state installate reti sottili interrate per bloccare roditori che possano disperdere il Dna mutato, e una seconda rete alta due metri per evitare ogni intrusione. Intorno al campo è stato lasciato un perimetro di tre metri di terreno nudo per prevenire qualsiasi rischio di maggiore “invasività” delle viti resistenti, concetto strano in questo contesto, dato che le piante sane trattate con fitofarmaci non diventano certo invasive.
Infine, mancavano ancora l’autorizzazione della regione Veneto per l’impianto, il fascicolo aziendale e il registro viticolo. Questa è la storia di un successo scientifico che, nonostante le difficoltà, è stato “messo a terra” e chissà, forse fra tre anni brinderemo con un bicchiere del primo Chardonnay al mondo da viti geneticamente editate!