AGI – Sono riprese in agosto, grazie a un cofinanziamento tra Università e Comune, le ricerche archeologiche nell’area del monastero dei Santi Ilario e Benedetto a Dogaletto di Mira da parte dell‘Università Ca’ Foscari Venezia (Dipartimento di Studi Umanistici-Insegnamento di Archeologia Medievale), in collaborazione con il Comune di Mira, la Fondazione Università Ca’ Foscari e su concessione del Ministero della Cultura.
Lo scavo 2023 ha confermato in gran parte i dati emersi dalle indagini geofisiche, riportando alla luce particolari degni di nota, come ad esempio le fondazioni di alcuni dei pilastri della famosa basilica triabsidata medievale scavata a fine Ottocento, di cui rimanevano solo tracce intangibili come per esempio una bellissima fotografia dell’epoca. Le indagini hanno inoltre portato in luce un’altra chiesa più antica a tre navate, di dimensioni più piccole, di cui si conservano le fondazioni piuttosto massicce e realizzate in grandi blocchi di pietra.
Da queste proviene una grande sorpresa per lo scavo: un frammento di stele funeraria di età romana, raffigurante una donna con il capo velato, utilizzato come materiale da costruzione per la creazione delle stesse strutture di fondazione. L’abbazia dei Santi Ilario e Benedetto fu un importante monastero benedettino ubicato ai margini occidentali della laguna di Venezia, tra le attuali Malcontenta e Gambarare (località Dogaletto), nell’attuale territorio comunale di Mira.
La storia del monastero è strettamente intrecciata a quella del ducato delle origini (IX secolo) perché costituisce uno dei luoghi ‘simbolo’ della laguna altomedievale, fondamentale per la ricostruzione delle dinamiche insediative tra VIII e XIII secolo. Gli studi su Sant’Ilario hanno dunque importanti ricadute sulla comprensione dello sviluppo della stessa città di Venezia. Di questo monastero non resta niente a vista.
Nel XIX secolo furono condotti scavi archeologici che portarono al ritrovamento di una basilica a tre navate medievale, frammenti di mosaici pavimentali e una serie di sarcofagi e lapidi tombali. Negli anni 2000 sono riprese le indagini archeologiche, in accordo tra l’Università Ca’ Foscari Venezia e il Comune di Mira. Dopo un’interruzione di una decina di anni, questa collaborazione è ripresa nel 2020 grazie a un finanziamento del Comune, con attività d’indagine geofisica, pianificate in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna.
Le specifiche indagini geofisiche hanno restituito un quadro significativo relativo alla presenza di strutture archeologiche ancora sepolte nell’area dove si ipotizza sia stato fondato il monastero. “Per Mira – ha detto il sindaco, Marco Dori – si tratta di una ricerca di assoluto valore. Sant’Ilario è un’area che consideriamo strategica. Siamo molto contenti di aver ripreso la collaborazione con Ca’ Foscari. Dal punto di vista storico, perché ci lega a Venezia e alle sue origini, ma anche per le nostre radici. Riscoprire questi luoghi è anche un potenziale strumento di sviluppo per il futuro. Vogliamo rendere questo sito un sito permanente, un parco archeologico da collegare con la laguna e con la vicina Villa Foscari, villa palladiana sito Unesco. Lo faremo anche grazie a un percorso ciclabile che verrà realizzato nei prossimi anni e che porterà nuovi visitatori e viaggiatori interessati alla storia, all’arte alla natura. Il Comune, insieme a Ca’ Foscari, farà il possibile anche per far tornare a Mira gli antichi reperti di Sant’Ilario”.
Secondo il professore Sauro Gelichi, docente di Archeologia medievale dell’Università Ca’ Foscari e direttore degli scavi, “scavare nell’area del monastero di Sant’Ilario significa toccare con mano uno dei punti cardine della Venezia delle origini. Fondato verso gli inizi del IX secolo su terreni della famiglia dei Partecipazi, di questo importante cenobio non restano che le pietre e i mosaici scoperti nel XIX, trasferiti a Venezia e conservati, oggi, nel cortile del Museo Archeologico.
Le finalità della nostra ricerca non sono solo quelle di ridare vita a quelle ‘pietre’ ma anche di contestualizzarle meglio nello spazio topografico e funzionale originario. Prima di queste nuove indagini si era incerti che qualcosa del monastero delle origini fosse ancora conservato al sotto delle piantagioni di granturco che ricoprono l’area: ma già dai primi giorni le nostre aspettative sono state ripagate. Siamo certi che alla fine di queste nuove ricerche si potrà raccontare molto di più e meglio di quanto fino a oggi sapevamo su questo contesto storico-archeologico e dunque restituire ai cittadini di questo territorio un’importante fetta del loro passato’.