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Nuove accuse per Carlos Malatto, a processo per le torture ai desaparecidos

Ago 31, 2019

Nuove pesanti accuse dall’Argentina per Carlos Luis Malatto, ex militare che da anni vive in Italia. Denunce alla mano infatti, un gruppo di parenti di vittime della dittatura e di desaparecidos ha chiesto di ricevere udienza dal console italiano a Mendoza, nell’ovest dell’Argentina, chiedendo formalmente che le autorità italiane procedano nei confronti del 70enne che da anni vive da cittadino libero nel nostro Paese, ma che in Argentina deve già rispondere delle accuse di omicidio plurimo, associazione per delinquere, lesioni aggravate, violazione di domicilio e sequestro di persona riferite a quattro persone sequestrate nella provincia di San Juan fra il 1975 e il 1977, anni di dittatura civico-militare.

Nuove accuse per Carlos Malatto, a processo per le torture ai desaparecidos

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A questi casi, già oggetto di una richiesta di estradizione negata dalla Cassazione nel 2014, ora si aggiungerebbero quelli di Florentino Arias, Armando Alfredo Lerouc e di sua moglie Elida Lourdes Saroff. Si tratta di tre cittadini all’epoca accusati di fare stampa clandestina invisa al regime di Videla. I coniugi Lerouc erano giovani peronisti catturati l’11 novembre del 1976 a San Juan, dove avevano riparato insieme al figlio piccolo nel tentativo di evitare l’arresto che era già toccato a Anselmo Saroff, titolare della tipografia di famiglia a San Martin. Armando venne fucilato e suo figlio fatto ritrovare successivamente ai nonni, ma dell’insegnante elementare Elida Lourdes non si ebbero mai più notizie.

Florentino Arias invece fu prelevato dalle famigerate Ford Falcon dell’intelligence un mese prima, il 23 ottobre del 1976, proprio nella sua tipografia di San Juan, sotto gli occhi del suo socio. Secondo la denuncia di sua figlia Viviana Noemi, negli anni successivi alla sua sparizione alcune macchine della tipografia di famiglia vennero ritrovate da suo fratello Ezequiel Victor Arias all’interno dei locali del reggimento di fanteria di montagna denominato RIM22 e un testimone avrebbe riconosciuto il padre fra cinque prigionieri ammanettati, incappucciati e fucilati in una vasca di calce viva nei dintorni del comune di Zonda. Proprio in quel reggimento, conosciuto per l’efferatezza dei crimini contro i dissidenti politici, era tenente Malatto.

Spiega il ricercatore Rodolfo Camus, presente nella delegazione che si è recata al consolato italiano nel primo pomeriggio, che “la responsabilità di questi omicidi ricade direttamente sui capi di questo gruppo operativo, che una sentenza del 2013 ha ricostruito dettagliatamente con un organigramma che vede il tenente Malatto al grado S1, responsabile del personale operativo. Nella terminologia militare la dicitura sta a significare che Malatto era un ‘primus inter pares’ all’interno di questo gruppo, ritenuto responsabile di altre 61 sparizioni nella provincia”.

In Argentina in questi giorni le associazioni delle vittime esultano per sentenze che nei tribunali di Santa Fe e Bahia Blanca hanno comminato ergastoli e condanne a ex quadri militari della Marina accusati di crimini di lesa umanità durante la dittatura, e sulla scorta di questi chiedono giustizia anche oltreoceano, dove è stato dato mandato a un team di legali composto dagli avvocati Francesca Sassano, Marta Lucisano, Arturo Salerni e Alessia Liistro per procedere con le loro denunce presso le autorità italiane.

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Ad assisterli a Roma anche la “24marzo”, l’associazione che già nel processo Condor ha rappresentato i parenti dei desaparecidos e delle vittime delle dittature latinoamericane. La onlus nei confronti di Malatto aveva già nel 2015 depositato alla Procura di Roma una denuncia nella quale aveva chiesto la valutazione di una misura cautelare legata al pericolo di fuga in un altro paese europeo, in seguito alla quale il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva firmato l’autorizzazione a processarlo in Italia, ma da quel periodo l’ex militare argentino aveva fatto perdere le sue tracce, fino a ricomparire lo scorso giugno in un resort di lusso in Sicilia grazie a un’inchiesta di “Repubblica”.

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