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Non solo Unilever: quando l’azienda combatte le fake news (diffamanti)

Feb 16, 2018

C’ chi investe per far crescere la propria reputazione e chi per distruggere quella dei competitor. il marketing ai tempi delle fake news, bellezza. Con aziende grandi e piccole, nazionali e multinazionali, chiamate tutte a navigare nel mare magnum del web, un occhio alle tempeste (dei mercati) e uno a eventuali arrembaggi di chi non sa dove stia di casa il fair play.

Ma se tempo di pirati, giusto attrezzarsi per evitarne gli attacchi: ecco che si moltiplicano i casi di aziende che impiegano risorse per arginare il fenomeno delle fake news. Ha fatto rumore la clamorosa presa di posizione di Unilever, colosso anglo-olandese del settore food tra i principali inserzionisti pubblicitari al mondo che ha minacciato giganti di internet come Alphabet e Facebook di dare una stretta agli investimenti in advertising se non alzeranno barricate contro le bufale, lesive della reputazione dei settori di riferimento e dell’azienda. Il fenomeno, in s, non nuovo: le campagne elettorali, da una parte all’altra del pianeta, hanno fatto da laboratorio alla diffusione sui social di notizie false e tendenziose per colpire gli avversari. Processo che si esteso rapidamente anche a economia e finanza. Nuovo, semmai, l’atteggiamento delle imprese che di restare a guardare non ne vogliono pi sapere. Soprattutto nel settore dell’industria alimentare, quello che in reputazione investe pi di tutti. E allora si risponde colpo su colpo.

La Soresina, 2,5 milioni contro le fake news

In Italia, per esempio, si segnala l’attivismo di Latteria Soresina, gruppo del comparto lattiero-caseario dell’omonima cittadina in provincia di Cremona con 580 dipendenti e 365 milioni di fatturato nel 2017 (+9% rispetto all’anno precedente). Per rispondere al movimento no milk che, attraverso blog specializzati e post sui social network, contesta il consumo di latte ritenuto dannoso per la salute, la Soresina ha avviato una campagna di comunicazione sui canali web e Tv. Valore dell’investimento: 2,5 milioni. Per noi – spiega il presidente del gruppo Tiziano Fusar Poli – la comunicazione non solo uno strumento per pubblicizzare i nostri prodotti, ma una dichiarazione autentica del nostro vero modo di essere. Abbiamo realizzato una campagna educativa e coinvolgente, di impatto creativo e di lungo respiro, riuscendo ad esprimere i valori di Latteria Soresina e al tempo stesso capitalizzando anche quanto costruito in questi anni dalla nostra azienda.

Barilla (non) americana

Persino Barilla, big player globale del settore alimentare, si ritrovata al centro di una fake news circolata per lungo tempo sui social network. Molto curiosa: il gruppo emiliano secondo molti post reperibili online sarebbe di propriet americana. Della serie: attacco al cuore dell’identit di un marchio. Tutto falso, comunque, tanto vero che l’azienda ha messo in evidenza, attraverso i canali web, le righe che seguono: Barilla italiana, con quartier generale a Parma, dove nata nel 1877. La storia dell’azienda la storia della famiglia Barilla, alla guida del gruppo da quattro generazioni, oggi con i fratelli Guido, Luca e Paolo. Nel 1971 i fratelli Pietro e Gianni Barilla, per ragioni familiari e legate al periodo storico-sociale, decisero di vendere l’azienda alla multinazionale americana Wr Grace. Barilla rimase sotto la gestione della Grace fino al 1979. Dal momento della vendita e per tutti gli otto anni successivi, il pensiero fisso di Pietro Barilla era come riprendersi l’azienda. Nel 1979, firmando una case history speciale nel mondo del business, Pietro Barilla riesce a riacquisire l’azienda, che da allora sempre rimasta nelle mani italiane, della famiglia. Giusto per fare chiarezza.

Bertolli alla guerra di California

Altri marchi storici italiani che hanno dovuto vedersela con le fake news sono Bertolli e Carapelli, brand oleari di propriet del gruppo spagnolo Deoleo. Bertolli, in particolare, gode da sempre di una grande riconoscibilit sul mercato americano. Un protagonismo vissuto con un certo fastidio dai produttori a stelle e strisce. L’Universit di Davis in California ha pubblicato uno studio nel quale si mettono in discussione le qualit organolettiche degli oli italiani. Studio curiosamente ripreso da numerosi account social di Serbia e Macedonia che farebbero pensare a un’azione di lobbying da parte di produttori americani intenzionati a fare muro contro il gruppo Deoleo. Quest’ultimo risponde per le rime attraverso una ricerca che smonta, pezzo dopo pezzo, lo studio dell’Universit di Davis e una campagna di marketing da 7 milioni di investimento. Perch, in un mondo che fa sempre pi fatica a distinguere fiction e reality, restare a guardare un lusso che nessuno pu pi permettersi.

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