• 22 Marzo 2025 15:24

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Non solo Coldiretti. Perché la retorica antiscientifica funziona così bene quando si parla di cibo

Mar 22, 2025

Perché la retorica antiscientifica funziona così bene quando si parla di cibo? Perché, ogni volta che Coldiretti lancia una campagna contro un’innovazione alimentare — come la carne coltivata, gli Ogm, o altro — riesce a raccogliere consenso e a compattare attorno a sé un’ampia fascia di opinione pubblica, trasversale per età, istruzione e orientamento politico? 

 

                                

Insomma: come mai questo tipo di retorica riesce a far leva su un senso di identità così forte, che organizzazioni come Coldiretti possono parlare a governi di ogni colore, scalare ogni sorta di istituzioni, superando la frammentazione e le barriere culturali, sociali e politiche? Perché il marketing del cibo “vero”, “genuino”, “naturale”, funziona così bene, da poter mentire o inventare assurdità, e nonostante questo raccogliere adesione?

Come i geni, anche i gusti alimentari e la cucina si trasmettono verticalmente, lungo la storia delle famiglie e dei gruppi sociali. Questa trasmissione non avviene per via genetica, ma attraverso meccanismi culturali profondamente radicati nella relazione tra genitori e figli, e tuttavia si intreccia strettamente con le basi biologiche dell’individuo. I bambini, sin dai primi anni di vita, apprendono per esposizione, imitazione e familiarità quali alimenti si mangiano, in quali momenti, in quali combinazioni, con quali norme sociali e affettive.

Questo apprendimento precoce crea una sorta di impronta alimentare, che tende a restare stabile nell’età adulta e che definisce una parte importante dell’identità individuale e familiare. I cibi dell’infanzia, le ricette tramandate, le abitudini quotidiane costruiscono un codice condiviso che viene assimilato prima ancora di essere compreso razionalmente. In questo senso, la trasmissione dei gusti alimentari è verticale perché avviene da una generazione all’altra lungo la linea parentale, con un’efficacia simile a quella della trasmissione dei geni. Non è un caso, infatti, che si parli spesso di “tradizione culinaria” come di un’eredità, che si conserva, si protegge, e si trasmette.

Ma il parallelismo con i geni è più profondo di quanto sembri. Perché, in parte, anche la biologia concorre a stabilire queste preferenze. Esistono varianti genetiche, ben documentate, che influenzano la percezione dei gusti fondamentali. Il gene TAS2R38, ad esempio, regola la sensibilità all’amaro: chi eredita certe versioni di questo gene percepisce come estremamente amari alimenti come i cavoli, i broccoli o le rape. Al contrario, chi ha una versione meno sensibile li trova più neutri o persino gradevoli. Analogamente, il gene TAS1R2 è associato alla percezione del dolce, e vi sono differenze individuali nella preferenza per zuccheri semplici o complessi. Anche la percezione del grasso (attraverso recettori specifici) e quella del piccante (via TRPV1) sono sotto il controllo di geni che variano da persona a persona.

Questo significa che all’interno di una famiglia, se certe predisposizioni genetiche vengono trasmesse, è probabile che anche le preferenze alimentari si orientino nella stessa direzione. E se genitori e figli condividono una certa biologia del gusto, è più probabile che le abitudini alimentari tramandate trovino una base favorevole per consolidarsi. La trasmissione verticale dei gusti alimentari, quindi, non è solo culturale: è anche il risultato di una coerenza tra predisposizioni genetiche e contesto familiare, una coevoluzione tra natura e cultura che rafforza la stabilità delle scelte alimentari nel tempo.

Da un punto di vista evoluzionistico, tutto questo ha senso. L’apprendimento alimentare verticale ha numerosi vantaggi adattativi. Innanzitutto, riduce il rischio. In ambienti naturali, l’alimentazione comporta una costante esposizione al pericolo: molte piante, bacche, funghi o animali possono essere tossici, e riconoscerli richiede esperienza. La trasmissione familiare delle preferenze alimentari consente ai giovani individui di evitare cibi pericolosi senza doverli sperimentare direttamente, aumentando così la probabilità di sopravvivenza. Inoltre, ogni popolazione umana vive in un contesto ecologico specifico, con disponibilità variabili di risorse: tramandare gusti e pratiche alimentari significa trasmettere un sapere pratico locale, adattato a quello specifico ambiente. In questo modo, l’identità alimentare non è solo culturale, ma diventa uno strumento di adattamento ambientale.

Un altro vantaggio risiede nell’efficienza dell’apprendimento: anziché dover esplorare l’intero spazio delle possibilità alimentari, il giovane individuo eredita una “mappa” già testata, che riduce i costi cognitivi, energetici e temporali dell’apprendimento per tentativi. Infine, la condivisione dei gusti alimentari ha un valore sociale rilevante: mangiare insieme gli stessi cibi, riconoscere gli stessi sapori come familiari e accettabili, rafforza i legami affettivi, la coesione del gruppo e l’identità collettiva. In una specie come la nostra, altamente cooperativa, questo ha avuto un ruolo cruciale nell’evoluzione del comportamento sociale.

In definitiva, la trasmissione verticale dei gusti alimentari rappresenta un dispositivo complesso ed efficiente che intreccia biologia e cultura, apprendimento e predisposizione, identità e adattamento. È una forma di ereditarietà non genetica, ma profondamente evolutiva, che ha contribuito in modo decisivo alla sopravvivenza e al successo della nostra specie, allo stesso tempo creando un senso profondo di identità sociale e culturale molto riconoscibile.

E’ per questo che è così facile cavalcare questa sorta di “identità alimentare”: il significato simbolico, ma anche la predisposizione genetica e culturale ad apprezzare certi cibi ereditati con i geni è una fortissima leva, un jolly che organizzazioni come Coldiretti possono giocarsi per coagulare vaste fette di popolazione attorno a parole d’ordine avverse ai “cibi di laboratorio” e, più in generale, alle innovazioni a tavola, a favore della tradizione (cioè di ciò che è riconoscibile e apprezzato fin dall’infanzia).

Sfruttando un antico meccanismo che l’evoluzione ha fissato nella nostra specie, si riescono a mobilitare le masse contro Efsa o contro chiunque; sarebbe ora di essere consapevoli di questo tipo di trucchi, che servono a creare consenso, per poi far passare interessi anche contro scelte più razionali.

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