Noi plantigradi siamo divisivi. Così si dice, no? Divisivi. Il motivo è semplice. Gli orsi sono animali double-face. Sono gli orsetti pucciosi dei ricordi infantili, i teddy bear con le zampotte e con gli occhi di vetro; sono amatissimi dagli animalisti da divano e dagli ecologisti di città. Al tempo stesso sono animali pericolosi, dalla forza sovrumana; non temono nulla e nulla riesce ad allontanarli; molta gente in Trentino ha paura di trovare in cortile l’animalaccio in atto di rovistare nell’immondizia: l’orso è molto, ma davvero molto, più pericoloso di un cinghiale o di un lupo. I turisti cominciano a disertare le zone infestate. Sintesi ecologica e naturalistica: l’orso è stato importato in Trentino perché è un’interessante “specie-ombrello”, cioè è un ottimo termometro della qualità ambientale, ma è un animale pericoloso e va gestito in modo appropriato; gli animali violenti vanno rimossi altrimenti, oltre ad aggredire le persone e a creare un danno economico, spaventano gli abitanti e c’è sempre il rischio che qualche insofferente imbracci la doppietta del nonno e regoli a schioppettate la questione. In altre parole, la rimozione programmata del singolo orso aggressivo serve a salvaguardare la specie.
Perché ci sono orsi
Si pensa che in Trentino ci siano fra i 90 e i 120 esemplari. Gli animali sono concentrati nella zona attorno al gruppo Adamello Brenta, dove vivono quasi tutte le femmine. Sono così concentrati in poche valli per diversi motivi – alcuni biologici, altri fisici. E anche per problemi politici: al progetto Pacobace (piano d’azione conservazione orso bruno alpi centrorientali; come il Pacotom è per l’Appennino centrale il piano per l’orso marsicano) aderirono con entusiasmo il Veneto, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia, la provincia di Bolzano insieme con la provincia di Trento. Poi tutte le altre regioni posero scuse politiche diverse per ritirarsi dal progetto e lasciarono il Trentino solo. Pensarono: dopotutto il Trentino ha il santo protettore degli orsi, san Romedio con santuario in val di Non, e a questi animalacci sono abituati, loro.
L’orso dalle Alpi italiane fu allontanato secoli fa perché scacciato dall’habitat antropizzato di una volta, quando i disboscamenti avevano reso calve le montagne oggi tornate alberate e quando i carbonai e i boscaioli abbattevano gli animali molesti senza farsi problemi ecologici. L’animale è stato rimportato dal 1999 con il progetto internazionale Life Ursus. Sono stati introdotti una decina di animali di varietà slovena-dinarica. C’erano due obiettivi. Uno scopo era studiare l’essere umano, cioè come far accettare la presenza della specie in vallate densamente umanizzate. Siamo progrediti rispetto ai nostri nonni dal punto di vista della sensibilità ambientale e siamo diventati capaci di convivere con questi animaloni? Il secondo motivo dell’importazione è il valore naturalistico. L’orso ha molte necessità ecologiche per sopravvivere, riprodursi e per stabilirsi a lungo termine. I naturalisti definiscono ”specie-ombrello” gli orsi ma anche alcuni insetti e pesci, il panda, le tigri dell’Amur, il giaguaro perché quando si riesce a mantenere un habitat capace di sostenere le loro elevate esigenze ecologiche allora sono al riparo moltissime altre specie.
Quanti e come sono
Il primo dei dieci esemplari immigrati dalla Slovenia si chiamava Masun e venne rilasciato nel maggio 1999 vicino al lago di Tovel. Si sono riprodotti con rapidità. Una decina d’anni fa erano una sessantina, il numero che garantisce la sopravvivenza della comunità trentina. Non si conosce esattamente il loro numero perché il radiocollare non è adatto a questo tipo di animale di grandi dimensioni e di forza inaudita. E’ difficile perfino l’operazione di cambio della batteria (l’anestesia cui sono sensibilissimi può ucciderli, come è accaduto all’orsa Daniza nel 2014). Ma soprattutto questi animali s’ingozzano di cibo e ingrassano in autunno, per prepararsi al digiuno del letargo, e in primavera, affamatissimi dopo il letargo, e al contrario sono magrissimi alla fine del letargo: il collo cui allacciare il collare si assottiglia velocemente e non esiste collare che non si sfili. Sono animali solinghi; socializzano fra loro gli orsacchiotti mentre sono con la mamma e giocano con il resto della cucciolata ma poi, adulti, hanno una vita schiva. La femmina dell’orso bruno entra in letargo incinta e il feto si mette in pausa fino a gennaio, quando ricomincia la gestazione e, oplà, in due mesi mamma orsa mentre dorme partorisce dai due ai quattro orsetti. Dopo un anno sono già grossi, una ventina di chili. La madre resta con gli orsacchiotti finché raggiungono l’anno e mezzo. La mortalità è alta, attorno al 50 per cento. Quando è senza cuccioli, la femmina riprende l’estro. I maschi adulti a volte uccidono gli orsetti in modo da rendere di nuovo feconda la femmina.
Agilità e forza
Un orso bruno alpino maschio pesa dai 200 e i 350 chili, ma ne sono stati riscontrati esemplari da 390 chili. La corpulenza non è un limite all’agilità del bestione: corre più veloce di 50 chilometri all’ora, si arrampica svelto sugli alberi, è un nuotatore provetto. Inutile scappare di corsa, inutile arrampicarsi sugli alberi: in due balzi l’animalone raggiunge la vittima. Più piccolo e più mite, l’orso marsicano vive attorno alle grandi montagne abruzzesi, come la Maiella e il Gran Sasso. La mitezza è dovuta anche alla caccia con cui l’uomo per secoli ha abbattuto gli animali più aggressivi, selezionando in modo inconsapevole gli esemplari marsicani dal carattere meno aggressivo, di cui oggi abbiamo i discendenti. Se vagano per decine di chilometri al giorno, perché restano tutti in Trentino e non si sono stabiliti anche nelle regioni vicine? Per tre motivi. Gli animali vaganti sono i maschi, spesso 30-50 chilometri al giorno; al contrario le orse con i loro cuccioli sono più stanziali. Il secondo motivo sono alcune barriere fisiche difficili da superare più dei passi alpini: le autostrade e le ferrovie. Si parla di creare corridoi per consentire ai plantigradi di distribuirsi in modo meno concentrato. Il terzo motivo è che in diversi casi i maschi vaganti hanno scavallato i passi e hanno esplorato le valli vicine, ma poi sono tornati indietro. I numeri: dei 54 bestioni trentini emigrati alla ricerca di fortuna, 15 sono morti e 24 sono tornati indietro delusi. Il loro solo nemico sono le automobili.
Gli orsi mangiano il miele dai favi, come ci ha mostrato Winnie the Pooh; i plantigradi amano anche rubare le merendine dai cestini dei turisti, come hanno dimostrato Yoghi e Bubu; ma gli orsi del Trentino adorano soprattutto rovistare nell’immondizia, e quindi si stanno diffondendo i cassonetti sigillati che non solleticano l’odorato fino. Amano la frutta matura dei frutteti, da cui sono attratti; carne e pesce. Pasti abbondanti, fino a una quindicina di chili.
Bestie pericolose
Non hanno paura di nulla. Men che meno dell’umanità, a differenza dei lupi intelligenti e consapevoli dei rischi. Ci sono tre tipi di incontri. L’incontro semplice, il falso attacco e – incontro ravvicinato del terzo tipo – l’attacco. Gran parte degli animaloni trentini sono consanguinei e il carattere violento si sta diffondendo; si parla di importare altri bestioni per apportare sangue fresco e comportamenti meno aggressivi ma alla sola idea di nuova immigrazione orsesca c’è sollevazione fra molti abitanti. Gli orsi aggressivi vanno allontanati dal consorzio umano. Il piano d’azione Pacobace dice con chiarezza tutta l’orchestra di strumenti. Nei casi più gravi c’è il recinto del Casteller alle porte di Trento, la prigione in cui sono rinchiusi l’assassina Jj4 “Gaia”, la cui famiglia è composta da altri orsi molto spesso violenti e presto sarà trasferita a Worbis in Turingia, e M49 “Papillon”, evaso, ricatturato e castrato. Infine, c’è la pena capitale, come l’orsa Kj1 abbattuta in luglio. In marzo la Provincia ha deciso di consentire l’abbattimento degli orsi più pericolosi, fino al massimo di otto esemplari l’anno, il numero che non mette a repentaglio la comunità, dimostrano gli studi dei naturalisti dell’Ispra. Il Tar e gli animalisti si sono sempre opposti a tutto.
In ricordo
Un pensiero ad Andrea Papi, 26, il quale il 5 aprile dell’anno scorso faceva jogging alle porte di Caldes – gli auricolari con la musica – venne assalito e ucciso in modo straziante da Jj4 “Gaia”.