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Neuralink: come Elon Musk vuole fondere la nostra mente con un computer – International Business Times Italia

Mar 28, 2017

Un giorno potremo trasferire il contenuto del nostro cervello in un computer, raggiungendo virtualmente l’immortalità. O quantomeno, potremo “fondere” il nostro cervello con le macchine, espandendo le nostre capacità e di fatto realizzando un’evoluzione della nostra specie. L’idea non è certo nuova, ma potrebbe diventare qualcosa di reale nel giro di pochi, pochissimi anni. A pensarlo è Elon Musk, probabilmente quanto di più vicino ai miliardari dei fumetti come Bruce Wayne o Tony Stark esista sulla Terra.

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Effettivamente, realizzare una tecnologia del genere sembra qualcosa di più vicino ai fumetti di fantascienza che alla realtà, ma a quanto pare Musk non la pensa così, e considerando i suoi precedenti forse è il caso di prestare attenzione al suo lavoro. Secondo un report del Wall Street Journal, il multimiliardario sarebbe infatti dietro ad una startup chiamata Neuralink, che si occupa dello sviluppo di dispositivi impiantabili nel cervello che permettano di connettere computer ed esseri umani, ma anche di trattare malattie come il morbo di Parkinson agendo sull’attività elettrica del cervello.

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Di questo investimento si sa pochissimo (per quanto aggiornamenti arriveranno tra circa una settimana, come potete vedere dal tweet sottostante), ma è facile ipotizzare che sia tramite questa azienda che Musk voglia sviluppare la tecnologia che ha definito “laccio neurale”, ossia un modo di fondere la capacità di apprendimento automatico tipica dell’intelligenza artificiale con l’intelligenza umana.

Long Neuralink piece coming out on @waitbutwhy in about a week. Difficult to dedicate the time, but existential risk is too high not to.

— Elon Musk (@elonmusk) 28 marzo 2017

ELON MUSK VUOLE CREARE L’INTERFACCIA DEFINITIVA

Come spiegato proprio in questi giorni durante un’intervista a Vanity Fair, già ogni giorno sfruttiamo delle interfacce come smartphone e computer che però hanno il difetto di essere utilizzate tramite le mani e la voce, strumenti relativamente lenti. Ecco quindi l’idea: un impianto cerebrale in grado di eliminare qualsiasi dispositivo “intermediario” esterno al corpo per sfruttare il potenziale di calcolo di una macchina ma controllando il tutto con un cervello umano. “Penso che, per la creazione di una significativa interfaccia parziale col cervello, siamo a 4 o 5 anni di distanza”, ha affermato Musk.

Eccessivo ottimismo? Non è detto: una soluzione simile è in effetti già stata testata su dei topi nel corso di uno studio del 2015. Certo, passare dai piccoli mammiferi alla sperimentazione sull’uomo è un passo parecchio lungo, sia dal punto di vista tecnico che da quello normativo. Se poi si parlasse di una commercializzazione del dispositivo in questione, forse Musk arriverà a pensare che il suo piano di creare una colonia umana su Marte sia più percorribile.

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Cosa sarebbe possibile fare con un impianto del genere? Se state pensando ad applicazioni come effettuare una chiamata col vostro smartphone solamente pensandolo, o accendere un elettrodomestico con la mente, o cambiare canale senza alzarsi dal divano, ci dispiace dirvelo ma la vostra immaginazione è piuttosto limitata. Ma non è colpa vostra: state “banalmente” pensando a come utilizzare con maggiore facilità dei dispositivi tecnologici.

In questo caso, però, il dispositivo sarebbe dentro il nostro corpo. Anzi, sotto un certo punto di vista sarebbe il nostro corpo a diventare a sua volta un dispositivo. Questo significa che non avremmo bisogno di andare su Google per sapere quale sia la capitale dell’Uzbekistan (non perdete tempo a cercarla: è Tashkent). Questo significa che non servirebbero carta, penna e calcolatrice per conoscere la somma di tutti i numeri primi minori di 50 (vi diciamo anche questa: è 328).

In un tempo rapidissimo saremmo infatti in grado di effettuare ricerche ed eseguire calcoli senza mai “uscire” dal nostro cervello. Tutto questo permetterebbe di espandere noi stessi come esseri umani, impedendo al contempo che l’intelligenza artificiale possa sfuggire al controllo, eventualità temuta dallo stesso Musk, da Stephen Hawking, o dal co-fondatore di Apple Steve Wozniak.

intelligenza artificialeSono moltissime le possibilità di renderci più simili ad un cyborg che il progresso tecnologico ci offrirà (e che ci sta già offrendo) Max Pixel (CC0 1.0)

Come detto, l’idea in sé non è certamente nuova, così come non è nuova quella ancor più radicale di trasferire tutto il contenuto del nostro cervello in un computer, dal quale potremmo continuare virtualmente a vivere in eterno. Non è sicuramente una novità dal punto di vista concettuale: per fare un esempio, l’opzione del trasferimento del proprio sé grazie ad un robot viene descritta con dovizia di particolari (alcuni anche piuttosto inquietanti) da Hans Moravec, professore di robotica cognitiva alla Carnegie Mellon, nel suo libro del 1988 Mind Children: The Future of Robot and Human Intelligence.

TRASFERIRE LA PROPRIA MENTE IN UN ROBOT E RAGGIUNGERE L’IMMORTALITÀ

E non è una novità neanche il tentativo di un miliardario di metterla in pratica: è il caso di un magnate russo dei media, Dmitry Itskov, che circa un anno fa ha attirato su di sé una certa attenzione grazie all’idea di diventare immortale trasferendo la propria mente in un robot. A questo scopo, sta guidando (e finanziando) un progetto chiamato “2045 Initiative“.

Ciò che ha fatto Itskov è stato mettere insieme un team di scienziati che, come lui, ritengono possibile che il cervello umano sia simile ad un computer e che quindi sia possibile installare ciò che contiene su un altro computer.

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Se non ci sarà alcuna tecnologia per l’immortalità, sarò morto nei prossimi 35 anni“, ha spiegato Itskov in The Immortalist, un documentario andato in onda nel marzo 2016 su BBC Horizon. “Lo scopo finale del mio piano è quello di trasferire la personalità di qualcuno in un nuovo vettore artificiale. Diversi scienziati chiamano questa operazione ‘caricamento’ o ‘trasferimento mentale’. Io preferisco chiamarla ‘trasferimento di personalità'”.

Tutto questo potrebbe sembrarvi inquietante, ma dovrete iniziare a farci l’abitudine: l’epoca delle interazioni uomo-macchina sempre più ravvicinate è già da tempo iniziata, e le cose non potranno che continuare a progredire in questa direzione, ossia un tempo nel quale “i confini fra l’intelligenza biologica e quella post-biologica inizieranno a dissolversi”, per usare le parole di Moravec.

Ray KurzweilRay Kurzweil nel 2008: secondo il “futurista capo” di Google lo sviluppo scientifico e tecnologico entro il 2029 potrebbe consentire l’immortalità Ray Kurzweil

“LE MACCHINE CI RENDERANNO PIÙ​ UMANI”

Molto recentemente la questione è stata affrontata da Ray Kurzweil, ossia quello che potremmo definire il “futurista capo” di Google: secondo l’inventore la “singolarità” arriverà già nel 2029. La “singolarità tecnologica” è un’ipotesi a cavallo fra la scienza e la fantascienza, riguardante la creazione di una super-intelligenza artificiale superiore a quella degli esseri umani, capace di innescare un’incredibile crescita tecnologica. Tutto questo sarà conseguentemente in grado di generare grandi cambiamenti per l’intera civiltà umana.

Questo porta a computer che hanno intelligenza umana. Porta al fatto che li metteremo nei nostri cervelli e li connetteremo al cloud, al fatto che espanderanno chi siamo”, ha affermato lo scienziato nel corso di un’intervista rilasciata nei giorni scorsi durante la SXSW Conference di Austin, Texas. “Oggi, questo non è soltanto uno scenario futuro. È qualcosa che in parte è già qui, e che è destinata ad accelerare”.

Kurzweil ha un nome di grande prestigio nella comunità scientifico-tecnologica mondiale da far considerare con molta serietà a chiunque qualsiasi cosa dica in questo ambito. Da questo punto di vista, è interessante notare come lo scienziato abbia spiegato che “fonderci” con un sistema di intelligenza artificiale non ci renderà più macchine, bensì addirittura più umani.

“In effetti, ciò che sta accadendo è che le macchine ci stanno rendendo tutti più forti”, ha affermato Kurzweil. “Ci stanno rendendo più intelligenti. Possono non essere nei nostri corpi ma, per gli anni ’30, connetteremo al cloud la nostra neocorteccia, la parte del nostro cervello nella quale pensiamo. Otterremo più neocorteccia, saremo più divertenti, saremo migliori in campo musicale, saremo più sexy. Daremo dimostrazione ad un livello più alto di tutte quelle cose che teniamo in considerazione negli esseri umani”.

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Certo, non è affatto strano che un futuro di questo tipo possa generare qualche sorta di timore. Anche senza considerare come infilarsi un congegno elettronico nel cervello sia qualcosa che può spaventare anche solo dal punto di vista fisico, stiamo comunque parlando del connettere la nostra mente al mondo. Il che può essere un bene, ma potrebbe anche esporre a dei rischi: qualcuno può “vedere” ciò che penso? O magari addirittura controllarlo? Qualcuno può hackerare la mia interfaccia ed entrare nella mia testa?

Timori e perplessità hanno accompagnato praticamente ogni singola innovazione scientifica rilevante, ma in questo caso stiamo parlando di un balzo in avanti che di fatto modificherà ciò che siamo come specie. Un pubblico dibattito aiuterà a capire meglio se, come, quando e soprattutto perché una tecnologia di questo tipo sarà un’opportunità per ognuno di noi.

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