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‘Ndrangheta, in manette i palazzinari dei clan. Sequestrati beni per 50 milioni di euro

Apr 9, 2018

REGGIO CALABRIA – Per tutti erano noti imprenditori, nomi di peso nel mondo dell’edilizia reggina. In realtà Carmelo Ficara, Francesco Andrea Giordano, Michele Surace e il figlio Giuseppe erano i palazzinari di riferimento del clan Tegano, per conto del quale hanno cementificato la città e la provincia di Reggio Calabria. Per questo motivo, per ordine della procura antimafia della città calabrese dello Stretto sono stati fermati questa mattina dai carabinieri. A vario titolo, sono accusati di associazione mafiosa, fittizia intestazione di beni e autoriciclaggio.

Sempre attenti a tenere un basso profilo e a non farsi mai notare, i quattro imprenditori fin dagli anni Ottanta hanno lavorato come braccio imprenditoriale del clan. A loro sono riconducibili due delle più importanti società di costruzioni attive a Reggio Calabria e provincia, ma i Surace e Giordano controllano da sempre anche l’unica sala bingo della città, trasformata da anni in una straordinaria lavatrice dei soldi dei clan. Ad affermarlo non sono solo tre importanti pentiti di ‘ndrangheta, Giovambattista Fracapane, Enrico De Rosa e Mario Gennaro, ma anche le straordinarie intercettazioni audio e video registrate all’interno del bingo, che documentano, anticipa il procuratore vicario Gaetano Paci,il continuo passaggio di denaro dai titolari agli uomini del clan. “Questa operazione affonda le radici nel cuore economico e finanziario della ‘ndrangheta reggina ed è straordinariamente importante – spiega il magistrato – perché mostra il profilo imprenditoriale di alto livello del clan Tegano”. Un dato che emerge in maniera plastica dall’immenso patrimonio finito sotto sequestro.

Questa mattina, i carabinieri hanno messo i sigilli a beni, società e attività commerciali del valore di oltre 50 milioni di euro. Ufficialmente erano tutti riconducibili ai quattro imprenditori, ma in realtà, dicono i magistrati, erano parte del patrimonio di uno dei clan più importanti del panorama criminale di Reggio Calabria, che dei quattro imprenditori era il reale dominus. Un rapporto ai più sconosciuto. Nomi di peso dell’imprenditoria reggina, titolari di imprese importanti e dal volume d’affari invidiabile nell’asfittico panorama economico della città calabrese dello Stretto, Ficara, Giordano e i Surace sono sempre stati attenti a tenere un basso profilo. In passato erano stati lambiti da qualche indagine antimafia, ma ne erano sempre usciti puliti.

Per Ficara, lo scivolone giudiziario risale agli anni Novanta. All’epoca, era impegnato nella cementificazione della costa di Bocale, piccolo centro dell’hinterland sud di Reggio Calabria, coperto di villette costruite fin troppo vicino alla spiaggia. Per questo l’imprenditore era finito nel mirino della task force anti-abusivismo, in quella zona guidata dall’agente della municipale Giuseppe Macheda, ucciso in un agguato sotto casa. Un omicidio di cui Ficara per lungo tempo è stato considerato il mandante, ma il processo a suo carico, affrontato dall’imprenditore da latitante, si è concluso con una piena assoluzione. E da allora, Ficara è sempre stato attento a non farsi notare.

Identico atteggiamento hanno avuto per anni Giordano e i due Surace, titolari non solo di una nota impresa di costruzioni, ma anche dell’unica, enorme sala bingo di Reggio Calabria, nel quartiere di Archi, feudo storico dei Tegano. Un affare che qualche tempo fa hanno tentato di replicare nell’hinterland milanese, a Cernusco sul Naviglio. È lì che sono finiti nella rete tesa dagli investigatori milanesi che stavano indagando sulla rete di affari della ‘ndrangheta reggina sotto la Madonnina.

Arrivato al Nord, prima di aprire la propria attività, Surace senior si era infatti premurato di chiedere “il permesso” al clan Martino, imparentato con i De Stefano, storici alleati del clan Tegano. E sempre a loro ha chiesto la cortesia di dare fuoco alla sala bingo per poter coprire con il risarcimento dell’assicurazione le perdite causate da un business sbagliato e incapace di decollare. Circostanze che all’imprenditore sono costate qualche guaio giudiziario, poi prescritto, mentre quel risarcimento ha continuato ad affiorare in altre indagini. Secondo quanto svelato di recente dall’inchiesta Martingala-Vello d’oro, Surace non si sarebbe limitato a incassare un risarcimento non dovuto, ma avrebbe anche tentato di far sparire quei soldi in Svizzera, grazie al “sistema Scimone”, la rete di società fittizie e scatole cinesi che ha permesso ai clan di tutta la provincia reggina di lavare centinaia di milioni di euro.

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