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Natalya, che in un anno ha visto distruggersi la sua famiglia e le sue radici in Ucraina 

Feb 21, 2023

AGI – Natalya Dyachenko  guarda la distruzione in un anno della sua famiglia da Reggio Emilia mentre si sgretola anche la sua identità tanto che ora farà un passo che prima non riteneva necessario: chiedere la cittadinanza italiana nel Paese in cui lavora dal 2004.  

“Cosa è ora la mia terra, un Paese ‘x’?. Posso dire che vengo da un Paese ‘x’?” si domanda.  Morti, feriti, case e anime bruciate, pezzi di famiglia che sono passati dall”altra parte’, dai russi. Anche da lontano tutto può essere molto vicino.

Gli alveari del padre 

“Mio papà Pietro ora sta con mamma Elena a Chmel’nyckyj. Ha avuto un infarto a Popasnya nel Donbass dove vivevano da sempre e dove nessuno poteva curarlo perché non c’erano più medici – è il suo racconto all’AGI -. Ora si è un po’ ripreso fisicamente ma alla mattina, ogni mattina, si alza dicendo che deve andare a raccogliere il miele dagli alveari che non ci sono più. A raccogliere i prodotti dai campi che non ci sono più. Mamma vorrebbe tornare a Popasnya ma per andarci dovrebbe prendere un treno che passa dalla Russia e dalla Turchia e poi fa un altro lungo tratto e non ce la fa a mettersi in questo viaggio”.

Lo zio Valerio è morto ad aprile. Natalya l’ha saputo con un messaggino da un vicino di casa che, scavando tra le macerie, lo ha riconosciuto. Anche il cugino Ivan se n’è andato sotto le bombe.

Il nipote che sta coi russi 

Un nipote “è passato dai russi, io penso che poi sia morto”.  “Chi è rimasto faccio fatica a sentirlo perché i telefoni sono controllati”. Quello che fa soffrire di più Natalya è pensare al figlio di sua sorella. “Sono venuti un po’ da me, il bimbo di 12 anni è stato iscritto a scuola ma non si è trovato bene coi compagni. Ripeteva che aveva la sua scuola, a casa sua, e lì voleva stare. Era sotto choc. Alla fine mia sorella lo ha mandato a vivere col padre e un fratello in Polonia, lì sta meglio, ha fatto gruppo con altri ragazzini ucraini in classe”. Un altro cugino “è andato in Russia con la famiglia. Stanno male, li trattano male e appena potranno vogliono tornare in Ucraina”.

A Popasnya, dove ci sono le sue radici, “sono rimaste solo le persone molto anziane”.  

Natalya adesso si sente sola. Per molti mesi è stata un punto di riferimento per chi arrivava dall’Ucraina, ora è molto stanca.

“Ci vuole solo un miracolo che non ci sarà perché se anche dovesse finire la guerra non finirà l’odio. I bambini ucraini che vengono qui quando giocano ai videogame urlano: ‘E’ un porco russo, uccidiamolo'”.    

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