All’inizio della gran macchina narrativa di Resurrezione di Tolstoj c’è l’erronea condanna, per distrazione e dunque ancora più ingiusta, della prostituta Katiusha. Scrivendo l’appunto di camera di consiglio, i giurati dimenticano di specificare che “non aveva l’intenzione di uccidere”, dando da bere un intruglio a un cliente, cosicché al giudice non resta che registrare quanto messo per iscritto, che l’intruglio fu somministrato, e apporre la firma sotto la condanna in Siberia.
Non ci sarà nessun Tolstoj capace di trasfigurare in romanzo la morte per distrazione giudiziaria di un bambino di sette anni, vicino a Varese, al cui padre, agli arresti domiciliari per un fatto di sangue, per una serie di incomprensioni della lettera della legge – cose di cui nessuno ha mai piena contezza né piena responsabilità, signora mia – era stato concesso di trascorre una giornata assieme al figlioletto. E lo ha ucciso. Il padre era stato autorizzato dal gip a vedere il figlio perché l’ordinanza di domiciliari era stata motivata con il pericolo di inquinamento delle prove, e non con la pericolosità sociale, e il giudice non poteva aggravare la richiesta. E nessuno può farci niente, se l’unica cosa che i giudici possono fare è imbrogliarsi nelle loro stesse carte. Però questo non è un romanzo russo dell’Ottocento.