Nel corso degli anni, sono state ipotizzate diverse teorie inerenti la dinamica che ha prodotto l’incidente di Senna sulla pista italiana di Imola. La verità ufficiale, quella che a processo è stata riconosciuta come più accreditata, riguarda la rottura del piantone dello sterzo sulla Williams FW16. Anzitutto vanno fatte diverse premesse tecniche per capire al meglio tutta la situazione. La vettura britannica era alquanto instabile a livello aerodinamico. La ragione era abbastanza semplice, e lo stesso Adrian Newey, il genio di Stratford-upon-Avon, all’interno del suo libro biografico “How to Build a Car“, spiega nei dettagli i problemi relativi alla monoposto inglese. Facciamo un passo indietro.
Per la campagna agonistica 1994, la Federazione Internazionale aveva deciso di bandire le sospensioni attive. Il primo approccio a tale schema risale a due anni prima, quando però era principalmente la meccanica a fare la differenza. Motivo per cui il sistema funzionava solo in parte. Fu pertanto unicamente dal mondiale successivo, il 1993, che l’integrazione del meccanismo trovò la sua massima applicazione. Un’auto di F1, infatti, va pensata come un insieme di soluzioni in cui ogni singolo componente deve raggiungere una perfetta integrazione per funzionare e offrire i benefici teorizzati in fase di disegno. Durante la marcia di un veicolo, il corpo vettura cambia in maniera continua la sua orientazione.
Per tale motivo, considerando che le superfici aerodinamiche dell’auto sono soggette ai campi di pressione, si scatenano fenomeni di stallo che producono perdite di carico e, di riflesso, di aderenza. Parliamo di comportamenti che tutt’oggi non sono facili da prevedere in galleria del vento, in quanto molto spesso si verificano solamente in pista, tenendo conto che particolari condizioni non emergono nel campo ipotetico. Williams, con le sospensioni attive montate sulla FW15C, aveva studiato un sistema di attuatori idraulici che andavano ad operare in maniera diretta sui puntoni di ogni ruota. Parliamo del braccetto sospensivo obliquo dell’auto, al quale, a ogni suo movimento, corrispondeva una variazione delle altezze da terra.
In pratica, per essere più chiari: controllando la pressione dell’olio all’interno del circuito incaricato di attivare l’attuatore, si potevano controbilanciare, grazie al movimento del puntone, tutte le variazioni sulle altezze da terra. Un sistema che, inizialmente, montava ancora il gruppo molla-ammortizzatore per assorbire le asperità del piano di riferimento, poiché sostituirlo completamente richiedeva una capacità di controllo troppo grande. Ecco perché il team, dopo tutti gli studi del caso, decise di modificare il sistema per far sì che potesse lavorare a frequenze minori. In questo caso, gli attuatori idraulici si incaricavano di reagire, nelle fasi di accelerazione e frenata, al trasferimento di carico laterale e longitudinale che innescava le rotazioni del corpo vettura.
La rotazione laterale del telaio (rollio) e l’inclinazione della scocca in accelerazione e frenata (beccheggio) variano il centro di pressione. Parliamo del punto in cui vengono concentrate le forze aerodinamiche che agiscono su una vettura di F1, da cui deriva l’alterazione del bilanciamento che modifica la ripartizione del grip durante la marcia dell’auto. Pertanto, il grande vantaggio delle sospensioni attive era proprio quello di stabilizzare la piattaforma aerodinamica della monoposto, consentendo alla vettura di trovare il punto di lavoro perfetto, migliorare le prestazioni generali e, per giunta, riuscire a minimizzare i fenomeni di stallo aerodinamico.
F1, l’incompleta dinamica sull’incidente fatale di Ayrton Senna
Adrian Newey era il progettista che diede vita alla FW16, una monoposto che, come menzionato in precedenza, sin dai consueti test pre-stagionali aveva mostrato una certa instabilità. Questo perché, con il cambio del corpo normativo, l’aerodinamica della vettura forgiata su misura per le sospensioni attive non funzionava più a dovere. Parliamo di un’auto particolarmente complicata da guidare, malgrado le grandi abilità di Senna gli consentissero di domarla e ottenere riscontri cronometrici buoni. All’interno di questo scenario c’è un retroscena interessante. La rottura del piantone potrebbe essere avvenuta per via di una saldatura inadeguata. Il tutto si rifà a una richiesta di Ayrton, che non si trovava comodo nell’abitacolo.
Il team decise quindi di abbassare il volante, in quanto Senna ne voleva uno più grande, andando a modificare il piantone per ridurre il diametro. Provvedimento che concesse più spazio di manovra alle mani del brasiliano. Passiamo ora alla dinamica dell’incidente data per ufficiale. Durante il giro numero 7 del Gran Premio di Imola, il brasiliano è in testa alla corsa. La sua Williams è lanciata a oltre 300 km/h. Per via delle forti vibrazioni il piantone dello sterzo cede, proprio nel punto in cui era stato saldato. Ovviamente Ayrton si accorge del problema e alza il piede dal gas per poi frenare. La decelerazione abbassa la velocità, ma la sua FW16 va comunque a impattare contro il muretto a circa 216 km/h. Uno scontro fatale.
Fonte: Getty Imagesla monoposto di Ayrton Senna (Williams FW16) dopo l’impatto fatale contro il muretto – Gran Premio di San Marino 1994
Per riassumere e fare luce sulla vicenda: la causa dell’incidente è stata imputata alla rottura del piantone dello sterzo, mentre le motivazioni della morte sono legate al braccetto della sospensione che ha perforato il cranio di Senna a margine dell’impatto. Motivo per cui, durante il processo, gli ingegneri progettisti della Williams sono stati assolti. C’è anche un’altra teoria portata avanti dallo stesso Newey. Secondo il britannico, infatti, non fu lo sterzo a rompersi in prima battuta. Per via dell’instabilità aerodinamica di cui sopra, la vettura perse aderenza sulle disconnessioni della pista, che poi provocarono la frattura del piantone di li a poco o successivamente dopo lo scontro contro le barriere.
Purtroppo non c’è stato modo di verificare con certezza questo fatto. Inoltre, si parla di un’ulteriore possibilità, che riguarda la presunta foratura lenta della gomma posteriore destra, causata da alcuni detriti presenti in pista. Adrian sostiene che quest’ultima opzione sia alquanto plausibile. Per il britannico la logica impone che, se come primo avvenimento si parla della rottura del piantone, Senna avrebbe frenato immediatamente, mentre invece il brasiliano dapprima riduce il gas del 50%, per poi togliere il piede dal gas e frenare. Questo dice la telemetria ufficiale. Secondo l’opinione dell’inglese l’inchiesta è andata in una direzione abbastanza precisa. Newey, come molti addetti ai lavori, sostiene che la vera causa non sia mai venuta a galla e la precisa dinamica, probabilmente, rimarrà avvolta dal mistero per sempre.