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Morning bell: cosa si aspettano i mercati

Mar 22, 2022

AGI – I mercati sono volatili e contrastati. Pesano le difficili trattative per un cessate il fuoco in Ucraina, il ‘dopo Fed’ e il ‘disaccoppiamento’ tra Bce e banca centrale Usa, l’aumento delle materie prime che alimenta l’inflazione e lo ‘spettro’ della stagflazione, un mix micidiale di assenza di crescita e di forte rincaro dei prezzi.

 In Asia i listini sono in rialzo, mentre i future a Wall Street e nel Vecchio Continente cedono. Tokyo e Hong Kong salgono rispettivamente quasi dell’1,5% e di quasi il 2%. I future a Wall Street sono in lieve calo, dopo una chiusura in rosso. Tutti e tre gli indici hanno posto fine a una striscia di quattro rialzi consecutivi che avevano consentito lunedì sera di registrare la migliore prestazione dalla fine del 2020. A pesare le parole da ‘falco’ di Jerome Powell che ha assicurato che la Federal Reserve è pronta a muoversi “rapidamente” per contrastare un’inflazione “troppo alta” e non ha escluso che uno dei prossimi ritocchi possa essere dello 0,50%. L’allarme di Powell ha fatto schizzare verso l’alto i rendimenti dei T-Bond a stelle e strisce, con il tasso del decennale salito al 2,282% e quello del biennale sopra la soglia del 2%. In leggero rialzo anche i future sull’EuroStoxx 50, dopo una chiusura contrastata.

A influenzare i listini le parole della presidente della Bce Christine Lagarde secondo cui la guerra in Ucraina rende l’Europa più esposta al conflitto degli Stati Uniti. Continua a correre il prezzo del petrolio, acceso dal timore di un bando europeo alle importazioni di greggio russo. I future sul Brent e quelli sul Wti salgono oltre il 2% rispettivamente a 119 e oltre 114 dollari al barile. Piatto il prezzo dell’oro. 

Oggi proseguono ‘in salita’ le trattative fra Ucraina e Russia e si lavora in vista dell’evento clou di questa settimana: il Consiglio Ue di giovedì 24 e venerdì 25 marzo, affiancato a Bruxelles dal vertice straordinario della Nato, con il presidente Usa Joe Biden che partecipa a entrambi gli eventi. Il Consiglio Affari esteri Ue non trova un accordo sul nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca e si arriverà al vertice del 24-25 marzo senza l’embargo sul petrolio russo. Intesa invece sulla Bussola strategica per la sicurezza e la difesa Ue. Continuano a salire i contagi in Europa, Italia inclusa, per colpa della nuova variante di Omicron, ma non preoccupano, al momento, le ospedalizzazioni. 

Sui tassi Bce e Fed viaggiano separate

La Bce e la Fed viaggiano su due rotte divergenti. Lo chiamano ‘decoupling’, o disaccoppiamento. Significa che sui tassi non sono più sincronizzate. Fondamentalmente perchè la guerra in Ucraina ha effetti molto diversi sulle loro economie. In altre parole, l’Europa è più vulnerabile alla guerra, in quanto è più vicina all’Ucraina e più dipendente dal gas russo. Lo ha ribadito anche la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde. L’agenzia Fitch ha rivisto al ribasso dell’1,5% le sue stime di crescita per l’area euro nel 2022 al 3%, con un’inflazione in media al 5%. Tagliate anche le previsioni di crescita per gli Stati Uniti, il cui Pil quest’anno dovrebbe salire del 3,5%. Gli Usa, per contro, hanno un’inflazione quasi dell’8% e una crescita economica che alla lunga risentirà della perdita di potere d’acquisto degli americani, ma in modo meno rapido dell’Europa.

La Fed ha quindi deciso di attaccare aggressivamente l’inflazione e ha anche detto come: un primo rialzo dei tassi di un quarto di punto, seguito da altri sei rincari equivalenti quest’anno, anche se oggi un Jerome Powell, molto ‘falco’, ha detto che l’inflazione “è troppo alta” e non ha escluso, per contrastarla, aumenti dei tassi superiori a un quarto di punto. La realtà è che l’Europa è in dirittura d’arrivo per entrare in stagflazione, anche se ieri Lagarde ha detto di non vederla all’orizzonte. Secondo gli esperti la stagflazione è attesa in Europa tra il secondo trimestre e il terzo trimestre di quest’anno, mentre gli Stati Uniti probabilmente la sperimenteranno un paio di mesi più tardi. In questa fase l’Europa è più a rischio perchè risente maggiormente dei crescenti prezzi dell’energia, mentre a proteggere gli Stati Uniti è la sua autonomia in termini energetici.
A vantaggio della Fed c’è anche un altro fattore, ossia che negli Usa vi sono componenti dell’inflazione che possono essere ridimensionate tramite il rialzo dei tassi come ad esempio i prezzi degli affitti e delle auto. In Europa invece l’inflazione dipende in gran parte dal caro energia, una componente su cui i tassi incidono poco. Per questo la Bce, pur essendo diventata più ‘falco’, ha deciso di agire contro l’inflazione, in modo più ‘soft’ della Fed, di fatto puntando su un’accelerazione della riduzione del Qe. Nell’ultimo direttivo dell’istituto Lagarde ha detto che gli acquisti non “saranno”, ma “potrebbero” essere fermati nel terzo trimestre, se l’inflazione non scenderà. Verosimilmente non scenderà e quindi il condizionale di fatto è un presente. Tuttavia sui tassi la partita resta aperta. Per ora vincono i falchi, ma quando si vedranno gli effetti sulla crescita, cioè nel secondo semestre, o anche prima, potrebbero tornare in campo le colombe.

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