• 6 Maggio 2024 6:10

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Morning bell: Cosa si aspettano i mercati

Mar 16, 2022

AGI – I mercati mostrano dei segnali di ripresa, specie in Asia, ma restano volatili, irregolari e altalenanti. Fari puntati sulla Fed, che oggi annuncerà il primo rialzo dei tassi d’interesse degli ultimi tre anni. Gli investitori si aspettano un incremento di 25 punti base ma attendono indicazioni sulle prossime mosse e sul bilancio. Domani toccherà alla Banca d’Inghilterra rialzare il costo del denaro e successivamente s’incontreranno le banche centrali di Giappone, Indonesia, Taiwan e Russia. In Asia Hong Kong e Shanghai vanno in rally, dopo essere entrambi finiti in profondo rosso nelle ultime due sessioni per i nuovi casi di Covid-19 in Cina e i lockdown nell’area di Shenzhen e nella provincia di Jilin, uno dei più grandi distretti industriali del mondo. A far lievitare i listini cinesi è la notizia che la Cina prevede di adottare misure per rilanciare l’economia e favorevoli ai mercati dei capitali.

Inoltre ieri le autorità sanitarie cinesi hanno riferito di un leggero calo dei nuovi casi rispetto al giorno prima, anche se Pechino prosegue con la politica del ‘pugno di ferrò per limitare i contagi. Hong Kong vola sopra l’8% e Shanghai a +3,7%, dopo essere andata in altalena. Tokyo chiude in rialzo dell’1,64%. Prosegue la volatilità del prezzo del petrolio. Il prezzo del greggio risale in Asia dopo essere sceso sotto i 100 dollari. Anche il Brent per la prima volta da febbraio arretra sotto quella soglia e in serata tocca quota 98,86 dollari.

Poi risale e attualmente è di nuovo sopra quota 102, mentre il Wti avanza dell’1,8% sopra 98 dollari. I future a Wall Street sono in rialzo tra lo 0,2% e lo 0,7%, dopo una chiusura positiva, in particolare del Nasdaq, balzato a +2,9%, sulla scia delle attese perla Fed, del calo del petrolio e di un’inflazione più bassa del previsto, grazie ai prezzi alla produzione Usa, che a febbraio sono aumentati dello 0,8% mensile. In Europa i future sull’EuroStoxx 50 salgono dell’1%, dopo una chiusura contrastata, mentre lo spread tra Btp e Bund arretra a quota 156,7 punti e il gas sale del 5%. Intanto da Washington arriva la notizia che Joe Biden parteciperà al Consiglio Ue del 24-25 marzo e al vertice straordinario della Nato. 

Da segnalare la notizia del Wall Street Journal, secondo cui Riad “sta attivamente discutendo” con la Cina la possibilità di ricevere pagamenti delle forniture di greggio con la valuta di Pechino. Gli analisti già li chiamano Petroyuan. “Le dinamiche sono cambiate radicalmente. La Cina è il più grande importatore mondiale di greggio e sta offrendo molti incentivi redditizi ai sauditi”, affermano fonti di Ried. Dal lato Usa, un funzionario ha definito l’idea dell’utilizzo dello yuan come moneta ‘petrolifera’ un’ipotesi “non molto probabile” oltre che “volatile e aggressiva”.

Insomma, tra Washington e Pechino i rapporti altalenanti e non senza tensioni, come dimostra il lungo incontro di sette ore di lunedì tra il consigliere per la sicurezza Usa Sullivan e il super diplomatico cinese Yang, da cui sono emersi contrasti su Taiwan e polemiche sulle presunte richieste di armi da Mosca a Pechino. Intanto i premier di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, Morawiecki, Fiala e Jansa, sono arrivati in treno a Kiev, sotto le bombe, e hanno incontrato il presidente ucraino a cui hanno illustrato “un vasto pacchetto di aiuti”. Il vicepremier polacco Kaczynski: serve missione armata dell’Alleanza per l’assistenza umanitaria. Per Morawiecki la Ue deve concedere al più presto “lo status di candidato all’adesione” all’Ucraina. La Ue precisa: “Visita non su mandato del Consiglio”. I mercati continuano a guardare agli sviluppi in Ucraina e un consigliere del presidente Zelensky rivela che la guerra sarà probabilmente finita entro i primi di maggio, quando la Russia esaurirà le sue risorse.

Oggi la Fed rialza i tassi, per la prima volta da 3 anni

Oggi, per la prima volta da tre anni, la Federal Reserve inizierà a rialzare i tassi di interesse. I mercati hanno già prezzato un rialzo iniziale di un quarto di punto e sei-sette moderati rialzi nel corso del 2022, per un totale di circa l’1,75%, in pratica un rialzo ogni volta che s’incontrerà per il resto dell’anno (complessivamente sei volte) tutti dello 0,25%, meno uno che potrebbe essere di mezzo punto, che potrebbe essere piazzato a un certo punto della serie e che ancora la Fed non ha preannunciato. Jerome Powell potrebbe prefigurarlo nella riunione odierna e questa sarebbe una delle possibili sorprese che potremmo aspettarci da lui. L’altra riguarderà i tempi e le modalità di riduzione del maxi-bilancio della Fed, che attualmente è pari al 40% del Pil Usa. La Fed ha già lasciato capire che punterà sui reinvestimenti, più che sulle vendite di asset, ma oggi dovrà metterlo nero su bianco e chiarire meglio la sua posizione.

Poi toccherà a Jerome Powell, il capo della Fed, intervenire e dire la sua. Finora la guerra non ha cambiato il suo atteggiamento. Joe Biden lo ha riconfermato alla guida della banca centrale Usa con un compito preciso: ridurre l’inflazione.

E lui non è venuto meno alle aspettative, nemmeno la guerra lo ha fatto recedere più di tanto. Finora Powell ha solo ammesso che la guerra farà salire i prezzi e che la banca centrale ne terrà conto, mantenendo focalizzata la sua attenzione sul taglio dell’inflazione, il quale resta il ‘nemico pubblico unò. Il motivo? Biden, il suo grande sponsor, a novembre ha le elezioni di midterm, con le sanzioni e le sue dure prese di posizione contro Putin sta riguadagnando un pò di consensi, ma deve risalire la china, il gradimento nei suoi confronti resta sotto il 50%, e lui non può assolutamente permettersi che l’inflazione impoverisca troppo gli americani, incattivendoli e non facendoli votare per lui. E per combattere l’inflazione, c’è un solo modo: rialzare i tassi. Tuttavia Powell sa che dovrà farlo con cautela, perchè se rialza troppo i tassi, o lo fa troppo in fretta, finirà per spaventare i mercati. Per cui deve agire gradualmente: puntare su un atterraggio morbido.

In che modo? La risposta è un po’ tecnica ma sostanzialmente suona così: rialziamo i tassi gradualmente e contestualmente riduciamo il bilancio, ma puntando sui reinvestimenti senza per ora procedere anche a vendita di titoli. In tal modo la Fed potrà tentare di combattere l’inflazione senza spaventare troppo i mercati, abituandoli a convivere con meno liquidità.

La stagflazione è dietro l’angolo

La forte volatilità dei mercati è legata al timore che le vicende belliche e i prossimi rialzi dei tassi possano frenare la crescita senza riuscire a raffreddare l’inflazione. Insomma, la temibile stagflazione è dietro l’angolo. Che significa? Diciamo che un’economia entra in stagflazione, quando soffre non solo per l’assenza di crescita ma anche per un forte rincaro dei prezzi. “La stagflazione – sostiene Antonio Cesarano – in questo contesto diventa uno scenario sempre più probabile almeno per l’Europa e successivamente potrebbe interessare anche gli Usa”.

Ci sono tutte le premesse perchè si entri in stagflazione in Europa, dove l’inflazione è prevista sopra il 5% nel 2022 e la crescita è sotto stress. “Diciamo che la stagflazione è attesa in Europa tra il primo ed secondo semestre ed è in ritardo di almeno un paio di mesi negli Stati Uniti”. In questa fase l’Europa è più a rischio in quanto risente maggiormente dei crescenti prezzi dell’energia, mentre a proteggere gli Stati Uniti è la sua autonomia in termini energetici.

L’effetto stagflazione comporterà un forte dilemma di politica monetaria. Dopo il focus quasi monotematico sull’inflazione potrebbe seguire un maggior equilibrio per tenere conto anche del tema crescita per far ripartire l’economia. “Per prima comincerà la Bce – dice Cesarano – tra qualche mese potrebbe essere il turno anche della Fed, che prima però potrebbe tentare di avviare una breve fase di rialzo tassi/riduzione del bilancio”. A vantaggio della Fed c’è anche un altro fattore, ossia che vi sono componenti dell’inflazione che possono essere ridimensionate tramite il rialzo dei tassi come ad esempio i prezzi degli affitti e delle auto”. In Europa invece l’inflazione dipende in gran parte dal caro energia, una componente su cui i tassi incidono poco.

Oggi la Russia rischia il default per le scadenze di due bond

Oggi potrebbe essere una giornata decisiva per la Russia sul fronte finanziario, perchè la scadenza delle cedole su due titoli di Stato russi denominati in euro potrebbe determinare il primo default di Mosca dal 1998. La Russia oggi dovrebbe pagare 117 milioni di dollari di interessi su due bond sovrani denominati in euro, la prima di quattro scadenze di pagamento ai creditori a marzo, ma non è chiaro come esattamente Mosca intende far fronte ai suoi obblighi. Le sanzioni internazionali hanno bloccato gran parte delle riserve valutarie del Paese, che normalmente sarebbero utilizzate per onorare tali debiti. Il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha già detto che Mosca userà le sue riserve di yuan cinesi per effettuare alcuni dei pagamenti in euro e dollari.

In alternativa, il governo ha avvertito che i pagamenti ai creditori dei Paesi “ostili” saranno effettuati in rubli, anche se la valuta si è fortemente deprezzata dall’invasione dell’Ucraina. William Jackson, capo economista di Capital Economics, ha spiegato alla Cnbc che, sebbene alcune obbligazioni russe, quelle emesse dopo il 2018, consentano pagamenti in rubli, questo non si può applicare ai due bond in scadenza oggi e che tentare di pagare in rubli equivarrebbe a un default parziale, in quanto non scatterebbe da subito ma potrebbe giovarsi di un periodo di grazia di 30 giorni prima di diventare ufficiale. Al momento il messaggio che Mosca intenderebbe lanciare, secondo Timothy Ash, senior strategist di BlueBay Asset Management, è che, “se l’Occidente vuole che i creditori occidentali siano pagati, allora le sanzioni sulla banca centrale devono essere allentate”.

Russia limita export di grano, mais e zucchero

La Russia prevede di limitare le esportazioni di grano, orzo e segale per assicurare adeguate forniture alla popolazione, “proteggendola” dall’aumento dei prezzi innescato dalle sanzioni internazionali. Lo ha reso noto la vice portavoce del governo russo, Viktoria Abramchenko, secondo cui i limiti all’export entreranno in vigore da domani fino al 30 giugno e riguarderanno anche il mais. Ci sarà inoltre un bando sull’export di zucchero fino alla fine di agosto. Non saranno interessate dalle limitazioni le “Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk”, in Ucraina, di cui Mosca ha riconosciuto l’indipendenza., mentre il limite alle esportazioni di grano riguarderà quattro repubbliche ex sovietiche: Kazakistan, Bielorussia, Armenia e Kirghizistan.

La risposta cinese a Omicron

La politica di tolleranza zero della Cina viene testata dalla variante altamente trasmissibile Omicron. In Cina raddoppiano i nuovi casi di Covid-19, alimentati da Omicron, che comunque restano in un range contenuto secondo i parametri occidentali. A questi contagi Pechino ha risposto con una politica del ‘pugno di ferrò, mettendo in lockdown 42 milioni di cinesi, soprattutto nell’area di Shenzhen e nella provincia di Jilin, uno dei distretti industriali più grandi e più importanti del mondo. A differenza dei Paesi occidentali che si stanno aprendo, la Cina risponde a Omicron chiudendosi a riccio. E questo in gran parte dipende dal fatto che Pechino non può permettersi misure moderate o graduali in materia di lotta alla pandemia. La strategia anti-Covid di Pechino infatti non si basa sulle vaccinazioni, ma sui lockdown.

Il paese ha bassi tassi di vaccinazione tra gli adulti più anziani e molto meno letti ospedalieri di terapia intensiva pro capite rispetto alla maggior parte dei paesi industrializzati. Un’estesa epidemia, o l’emergere di una nuova variante pericolosa potrebbe rapidamente sopraffare gli ospedali, soprattutto nelle aree rurali. Per questo le autorità ordinano blocchi e lockdown molto severi. In risposta anche a un singolo caso di Covid, i funzionari cinesi possono sigillare tutti gli ingressi di un negozio, di un edificio per uffici, di una fabbrica, di un centro congressi, o di un intero quartiere. Ognuno all’interno dell’area delimitata deve rimanere al suo interno per diversi giorni in quanto tutti sono testati e inviati in isolamento se risultano contagiati dal Covid. In tutto il paese, vengono radunati e testati milioni di cittadini ogni giorno. Una simile politica a Shenghen ha bloccato fabbriche gigantesche come il colosso taiwanese Foxconn, che assembla il 70% di tutti gli iPhone di Apple, oppure gli stabilimenti per la produzione delle Toyota. A Shanghai, molte aziende di proprietà straniera hanno immagazzinato materassi nel caso in cui i loro dipendenti fossero rimasti intrappolati nelle fabbriche o nei loro uffici questa settimana.

Le multinazionali hanno invitato i loro dipendenti di lavorare da casa. A Guangzhou, il governo municipale venerdì scorso ha sigillato il più grande centro congressi del mondo, che stava tenendo una mostra di prodotti di bellezza. Ieri le autorità sanitarie cinesi hanno riferito di un leggero calo dei nuovi casi rispetto al giorno prima, anche se Pechino per ora non molla la stretta e il timore che tutto ciò possa creare nuovi colli di bottiglia per l’economia globale e ripercuotersi negativamente sulla domanda cinese ha terremotato i listini di Hong Kong, Shanghai e Shenzhen e fatto scendere il prezzo del petrolio sotto i 100 dollari al barile. 

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