“Ho messo i cartelli subito dopo Ferragosto, sono riuscito a prendere solo quattro persone, due delle quali sono andate via”. Angelo Pattini, titolare delle omonime panetterie a Milano, parla con il realismo di chi è abituato a lavorare. Da più di due mesi sulla porta dei suoi cinque negozi si legge: “Cercasi baristi, panettieri, pasticceri, commesse, cassiere e addetti alle pulizie”. La ricerca, però, non è andata bene. “Ci serve personale da assumere a tempo pieno, con contratto regolare – spiega – ma spesso è proprio questo il problema”.
L’offerta è chiara: otto ore di lavoro al giorno e uno stipendio che, a seconda della mansione, oscilla tra 1.200 e 1.400 euro netti. La disoccupazione italiana a livelli altissimi e le cinque persone in un’ora entrate in negozio per chiedere informazioni sul lavoro, lasciano supporre che non sia difficile trovare dipendenti. Ma non è così. “Di curriculum ne sono arrivati tanti, – racconta Pattini scorrendo i fogli – abbiamo fatto colloqui e attivato diversi periodi di prova, ma non siamo riusciti a prendere quasi nessuno”.
Pattini sfoglia i curriculum ricevuti
Il 70 per cento dei candidati, spiega, è composto da stranieri e spesso dobbiamo scartarli. “Non si tratta di razzismo: la metà dei miei dipendenti è straniera, ma per questo lavoro servono esperienza e familiarità con la professione. Gli egiziani, ad esempio, sono maestri nella panificazione e anche i sudamericani lavorano bene, perché hanno tradizioni alimentari simili alle nostre”. Il problema, quindi, sembra essere nel 30 per cento di italiani. “Un barista di 55 anni – racconta Pattini – dopo il mese di prova se n’è andato perché preferisce continuare a prendere la disoccupazione e fare qualche lavoretto. Una candidata ci ha avvertito che sarebbe venuta da noi se non le avessero concesso gli ammortizzatori sociali: non si è presentata”.
La pasticceria di corso Garibaldi
Pattini aggiunge ancora: “I voucher per noi erano perfetti, il personale era in regola e lavorava per le ore necessarie e nei momenti di maggior bisogno. Varie casalinghe, per esempio, lavoravano tre ore al mattino, dopo aver lasciato i figli a scuola”. L’altra questione riguarda i giovani. “I ragazzi – continua il titolare delle panetterie – stanno con noi qualche mese, poi chiedono lettere di referenze e vanno a lavorare all’estero. L’anno scorso è successo quattro volte”. All’estero,
infatti, l’arte della panificazione e della pasticceria italiana ha successo: “Lo vediamo dai turisti che vengono qui in negozio, apprezzano i prodotti tradizionali”. Da aprile, racconta, gli affari sono aumentati, “piace la nostra volontà di rimanere una bottega, producendo tutto quello che vendiamo e sfornando pane fresco ad ogni ora del giorno”. Paradossalmente, però, nessuno vuole entrare a far parte di questa tradizione che piace a tutti.