Una mattinata di un venerdì come tanti altri, alla stazione della metropolitana di Porta Garibaldi a Milano. Houda ha 22 anni, è marocchina, vive da 17 anni in un paesino in provincia di Varese. E’ una di quel milione di giovani italiani di seconda generazione che lo scorso 4 marzo non hanno potuto votare, perché senza cittadinanza.
Come ogni giorno ha preso il treno che da Travedona Monate arriva a Porta Garibaldi ed è scesa ad attendere la Metro 2 per andare in università, alla Statale, dove studia giurisprudenza. Ha lezione alle 8 e 30. Rischia di arrivare in ritardo, sono le 8 e 17. E’ questione di un attimo: il treno sta arrivando, Houda si sente spingere. Sbatte contro la porta del convoglio, ancora in movimento. Si riprende, si guarda in giro, vede l’uomo che l’ha aggredita. E che additandola continua a minacciarla…
Il racconto di Houda, postato sulla sua pagina Facebook, comincia qui: ed è il racconto della paura che inizialmente la immobilizza, dell’odio cieco che muove il suo assalitore nei confronti del colore della sua pelle e di quel suo velo rosa confetto, ma anche e sopratutto della solidarietà della gente che la circonda e la protegge su quel treno.
Abbiamo sentito Houda. Ha scritto questo post perchè, spiega, “non riuscivo a tenermelo dentro”. Non per alimentare le paure, nè per sottolineare le discriminazioni che pur ha già
vissuto nella sua giovane vita (“Mai così, però”). Solo per scrivere, “perchè a me piace scrivere”, di solidarietà.“Non ho paura perchè ho capito che ci sarà sempre chi mi aiuterà”, si legge nelle ultime righe del suo post, “perchè finché ci saranno più persone da ringraziare che da incolpare so che andrà tutto bene, e che sono ancora a casa”.