il graffio del lunedì
La sconfitta casalinga con la Fiorentina certifica la crisi rossonera: quattro sconfitte in sei partite. Il pubblico contesta, la società deve chiarirsi le idee, intanto l’Inter si tiene stretta la vetta. In Formula 1 le Ferrari pagano le lusinghe
di Dario Ceccarelli
30 settembre 2019
2′ di lettura
Povero Diavolo, che pena mi fai! Anche senza l’acuto di Riccardo Cocciante, ormai l’abbiamo capito: prima della demolizione di San Siro, è già cominciata, a ritmi vertiginosi, la demolizione del Milan. In piedi, dopo il passaggio delle ruspe della Fiorentina, non c’è più nulla: l’attacco, la difesa, il gioco, sempre più una chimera sfuggente. Giocatori impauriti, senza idee, senza orgoglio. Fischi e contestazione poi fanno il resto. Quattro ko in sei partite dicono tutto.
È il Milan, non la Pergolettese
Ma a chi vanno rivolti questi fischi? Lo stralunato Giampaolo, in mezzo ai calcinacci, viene confermato. Ma viene confermato più per non sconfessare un intero progetto che per reale convinzione. Ma i vertici della la società, da Maldini a Boban e via salendo fino al presidente Scaroni, che cosa fanno? Il Milan non è la Pergolettese: non si può lasciare un pezzo pregiato della storia del calcio in balia dei venti.
Il gap con l’Inter
Va bene che dietro al Milan c’è Fondo americano, ma qui il fondo l’abbiamo toccato da un bel pezzo. Prima dello stadio, forse bisogna ricostruire dalle fondamenta un’intera squadra mai nata. Ma togliere di mezzo tutte le macerie non sarà facile. Anzi.
Rino Gattuso non sarà stato elegante, forse aveva una «visione» del calcio meno affascinante di quella di Giampaolo, ma con il suo carattere, e la sua faccia, teneva insieme tutti i pezzi. Dava ordine e carattere. Non bastava, certo. Ma il Milan aveva una sua impronta. Perché alla fine Gattuso sia stato mandato via non è mai stato chiarito. Ma ora è il caos. Un caos non calmo perchè tutto questo avviene mentre la Milano nerazzurra vola contendendo la leadership alla Juventus. Una asimmetria insopportabile per i tifosi rossoneri che da anni vedono la squadra affondare in una deriva senza fine con presidenti improbabili e allenatori mai del tutto convincenti.
Troppi violini per Leclerc
Dal calcio alla Formula Uno, in tema di sbandate, non si può soprassedere sulla rocambolesca domenica della Ferrari. A Sochi sembrava destinata a ripetere i fasti dei precedenti Gran Premi. Tutto sembrava già scritto con le Mercedes di nuovo destinate al ruolo di modeste comprimarie. Un’escalation di esaltazione con il piccolo principe, Leclerc, già paragonato a Schumacher. «Un cervello da computer sempre più lanciato verso la perfezione». Troppi violini, troppe sirene, troppe sicurezze. Fatto sta che, alla fine, per sfortuna e qualche distrazione di troppo, le Mercedes hanno fatto doppietta (Hamilton e Bottas) con Leclerc solo terzo e Sebastian Vettel fermo ai box per una avaria. Come sempre il monegasco e il tedesco hanno poi dato una versione discordante sulla strategia di corsa. Forse in Ferrari qualcuno parla troppo e qualcun altro troppo poco.