La serialità televisiva per come la concepiamo oggi è nata su basi narrative e gusto occidentale. Le forme, i cliché e i topoi immediatamente più riconoscibili sono ovviamente quelli di matrice anglosassone, addirittura risalenti alla scuola dell’Antica Grecia. Molti invece ignorano l’esistenza di altre visioni provenienti dall’Oriente, spesso messe in secondo piano perché lontane dalla nostra scuola di pensiero.
Il Giappone è una terra dalla storia complessa e contraddittoria, dove non solo si sono create forme di narrazioni differenti dalle nostre, ma anche forme di etica a noi quasi aliene e allo stesso tempo molto affascinanti. Molta della cultura giapponese ci arriva tramite i prodotti di animazione, in molti casi “occidentalizzati” per andare incontro al gusto locale. Proprio per questo è ancora più interessante questo recente prodotto Netflix: i suoi prodotti live action, forse per la prima volta liberi da censure o adattamenti culturali.
È il caso di Midnight Diner: Tokyo Stories (in originale Shinya Shokudō), basato dall’omonimo manga di Yarō Abe e divenuto un piccolo cult in madrepatria per i suoi adattamenti. Sono le tante storie di individui comuni tra cui adolescenti, lavoratori e pensionati che frequentano una piccola tavola calda notturna in un vicolo di Shinjuku, famoso quartiere di Tokyo. A gestirlo c’è un solitario e taciturno cuoco che cucina tutti i piatti che i clienti vogliono, a patto di averne gli ingredienti. Una determinata pietanza può diventare l’inizio di una storia d’amore fra due sconosciuti, per ritrovare un amico perso da anni oppure per consolidare un rapporto padre-figlio.
La serie si differenza dai nostri canoni proprio nei comportamenti dei personaggi: in Giappone la forte etica del lavoro porta spesso all’alienazione dell’individuo, soprattutto fra i giovani che non riescono a mantenere i ritmi massacranti. Il Midnight Diner esiste per radunare queste anime sperdute mal viste dalla stessa società, e il tepore di un piatto caldo risveglia quel senso di comunità e di connessione verso il prossimo. L’imponente chef funge da specchio per i commensali, che con i loro monologhi si aprono tanto a lui quanto a noi. Le storie sono autoconclusive, non hanno pathos né intrighi, sono storie comuni di persone che affrontano ogni giorno lo scorrere del tempo, nel bene e nel male.
Lungo le dieci puntate di questa prima stagione (in Giappone sono arrivati alla terza e con due film) vediamo piccoli momenti quotidiani della vita giapponese al di fuori dalla tavola calda. Spesso bloccati in uno stallo sociale e mentale come il dover accettare un lutto, rivelare i propri sentimenti o non riuscire a compiere determinate scelte per paura. Sono storie normalissime che tutti noi affrontiamo almeno una volta nella nostra vita, ed è proprio il bagliore di umanità che nasce dai fortuiti e casuali incontri in quel piccolo locale a dare una svolta significativa, in una società sempre più fredda verso i sentimenti.
A molti non piacerà per il ritmo calmo e la mancanza di una storia orizzontale, o non apprezzeranno quel piccolo tocco di follia nipponica nella recitazione degli attori, ma consiglio la visione di Midnight Diner per ricordarci come ogni tanto abbiamo bisogno di qualcosa di caldo e intimo da vedere per sentirci umani, nel momento in cui stacchiamo la spina dai nostri doveri. Da vedere rigorosamente la sera, magari con un bel piatto caldo ad accompagnare.
Lost in translation | ||
Se Mi Lasci Ti Cancello | ||
Memento |