È il 29 dicembre, in tendenza torna il nome di Michael Schumacher, come in tendenza sembra tornare il ricordo di un inverno di ormai sette anni fa. Le notizie confuse, il nome di un uomo che versa in gravi condizioni dopo una banale caduta sugli sci. Poi un silenzio lungo sette inverni, un’agonia per chi il Kaiser lo ha amato, ma anche l’unica vera barriera contro lo sciacallaggio per chi, Michael, ha il dovere di proteggerlo. La sua Corinna si prende sulle spalle la famiglia intera e, dietro a quella barriera, ricostruisce una vita.
Tra chi pensa che la mancanza di notizie sia un affronto alla tifoseria del Kaiser pilota, e chi nel silenzio dell’entourage legge semplicemente l’assenza di buone notizie da dare, noi di Michael continuiamo a parlare tanto, tantissimo.
Perché anche se non c’è, nel suo mondo resta una presenza ingombrante. La Formula 1, e i suoi protagonisti, dovranno sempre fare i conti con lui, con la sua grandezza, con quell’arroganza che lo ha reso sette volte il più grande di tutti. Un numero di cui quest’anno abbiamo parlato per mesi, nell’attesa che un altro ingombrante numero uno lo raggiungesse.
Sette inverni, quelli in cui il Kaiser ha portato a casa i suoi titoli da campione del mondo di Formula 1.
Sette inverni, quelli che oggi ci separano dall’incidente sulle nevi di Meribel.
Ma la vita, quella che andrebbe celebrata sempre, sta lì in mezzo. Tra i numeri belli, quelli dei record e delle vittorie. E i numeri brutti, quelli delle probabilità di rivederlo così come ce lo ricordiamo, così com’era.
E allora nel giorno in cui tutti parlano “delle condizioni del campione sette anni dopo l’incidente” noi pensiamo alle piccole cose che se ne stanno incastrate lì, tra le grandi imprese di un uomo che Giorgio Terruzzi – oggi per il Corriere della Sera – descrive come “forte nel fisico, coraggioso nell’animo, determinato, formidabile”.
Un Michael Schumacher come quello che ritroviamo, quando ne abbiamo bisogno, in giorni impossibili come questo 29 dicembre, negli scatti di Michel Comte, fotografo svizzero da sempre vicino al Kaiser. A cavallo, innamorato, semplice come un cappello di paglia sulla testa di una divinità. Fuori dalla tuta rossa, fuori dal letto di un ospedale, fuori da quei luoghi in cui siamo abituati ad andarlo a cercare.
E oggi è semplicemente bello così, pensarlo nelle piccole cose, il più lontano possibile da quel 29 dicembre di sette anni fa.
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