Chissà se dietro a quello sguardo spento c’è una scintilla che gli ricorda che il 3 gennaio è il suo compleanno. Forse, a ben guardare, sarebbe meglio di no. Perché per Michael Schumacher ritrovarsi per il quarto compleanno di fila su una sedia a rotelle immobile a guardare un futuro che non c’è, è una condanna. E con quello che ha fatto nella sua vita, meglio immaginarlo chiuso in un limbo in cui la sua mente sia assente, perché se ci fosse un minimo di attività tale da farlo pensare, immaginare e reagire, per lui sarebbe una prigione troppo grande da affrontare.
Era il 2004 e Michael vinceva il suo settimo titolo mondiale. Sembra ieri, sono passati 13 anni. Anni in cui in F1 l’impronta di Schumacher è ancora presente. E a renderlo un gigante ci pensano i piloti di oggi. Prendente Rosberg, ad esempio. Ha vinto il suo primo titolo e si è ritirato. Michael ne ha vinti sette e ha continuato a lottare ancora, anche negli ultimi anni in cui la sua Mercedes non era certo quella che hanno avuto in mano Hamilton e Rosberg nelle ultime stagioni. Eppure la sfida era stata accettata, come quando dopo un campionato vinto si azzerava tutto e si ricominciava. Rifarlo da vincente è uno stress, Rosberg ha dimostrato che si può soccombere a tanta pressione, Michael no. Lo ha rifatto per sette volte.
Immaginate ora cosa ha significato rimettersi in gioco, ricominciare da capo, rifare le stesse cose solo per dimostrare di essere il migliore. Anche nella sconfitta, perché lo Schumacher che ha perso con la Mercedes lo ha reso più umano, più comprensibile e apprezzabile anche a chi non lo ha mai digerito.
Per questo, oggi, in F.1 l’impronta Schumacher vuol dire anche questo: non arrendersi mai. C’è poi l’altro aspetto, quello manageriale, imprenditoriale, da padrone della sua azienda e marchio a sé stante. Schumacher col manager Willi Weber sono stati i primi a far diventare marketing quello che era solo una attività agonistica. Nessuno, prima di Schumacher, ha saputo capitalizzare un nome, un successo, una storia, in qualcosa di tangibile e pratico, un prodotto da vendere nelle case dei tifosi. Nemmeno Senna o Stewart prima ancora erano mai arrivati a questi livelli, e parliamo di due esempi di professionisti che hanno stravolto il mondo della F.1 per come ragionavano.
Prendete Prost o Vettel, quattro titoli mondiali. O Hamilton, per fare un esempio. Non sono mai riusciti a creare quello che ha fatto Michael Schumacher. La sua MSC, collezione che comprendeva il famoso cappellino (a un GP al Nurburgring ne vendettero quasi 200 mila in un colpo solo a 50 marchi l’uno…) ma anche il copri tazza del water, con tanto di macchinina nell’asse che girava appena ti sedevi e col brum brum di fondo nascondeva il rumore delle eiezioni corporali. Un trash unico e incredibile, eppure ne furono venduti a pacchi anche di questi esemplari. Tutti siglati MSC, Michael Schumacher Collection.
Ecco, il merchandising della F.1, i prodotti firmati e col marchietto olografico della F.1 furono una conseguenza dell’intuizione di Michael e del suo manager. Se oggi sui banchetti trovate magliette cappellini prodotti vari, che garantiscono introiti di rilievo alle squadre e ai piloti (pochi) che producono, lo si deve a Michael. Anche in questo come pilota azienda, Schumacher ha lasciato un segno. Un segno anche nelle squadre da corsa, a dire il vero. La sua dedizione, il voler capire e provare, il fare gruppo, lo hanno reso unico. Ha sempre protetto il suo gruppo di lavoro, se qualcosa andava male non si lamentava né in pubblico tantomeno in privato coi responsabili. Nel bene e nel male era lui l’artefice di tutto e se ne faceva carico. Altro che Alonso, che in squadra aveva trovato dei nemici e li emarginava o un Vettel, capace di lamentarsi pubblicamente in macchina e senza grinta nel creare una sua squadra affiatata. Schumacher era un simbolo e un esempio. E dava tutto.
In un paio di GP, ad esempio, Brawn e Baldisserri gli chiesero in corsa se se la sentiva di cambiare strategia, da tre a quattro pit stop, bisognava mantenere un passo da qualifica. Disse Ok, lo fece e vinse. Ecco, gli chiedevi tanto e ti dava tutto. E questo è rimasto di esempio in F.1. Così come tante altre cose. E per questo, quarto compleanno di fila della nuova vita, si fa per dire, che la mente corre a quel passato recente, ormai storia, e lo confronta con l’oggi e scopre che qualcosa di Schumacher c’è ancora in F.1. Mentre lui continua a restare su una sedia a rotelle, circondato da fisioterapisti, dalla famiglia e dal suo sguardo ora assente ora con una piccola scintilla di vita.
Chissà se gli passa qualcosa per la mente e se ripensa a quel passato. Anzi, conoscendolo, se gli rimane una scintilla di vita nella mente, sarà proiettata al futuro prossimo: vincere la prossima battaglia, la sfida della vita. Il passato per lui non conta, si è rimesso in gioco tutte le volte, lo farebbe anche stavolta.