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Messina, sequestro da dieci milioni di euro al “re” dei videopoker legato ai clan

Gen 9, 2020

Dagli anni Novanta è un manager attivissimo nel settore del gioco, a Messina. Un tempo, si occupava di bische. Poi, è passato ai videopoker. Domenico La Valle, 59 anni, è ritenuto il braccio imprenditoriale del clan Trovato, che opera nella zona Sud della città. Le indagini del nucleo di polizia economico finanziaria, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia diretta da Maurizio de Lucia, hanno portato a un decreto di sequestro per l’imprenditore. Il provvedimento è stato emesso dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale della città dello stretto. Riguarda gli investimenti messi in atto dal “re” del gioco negli ultimi anni: società di noleggio di videopoker, sale giochi, un distributore di carburanti e diversi immobili intestati ai familiari.

Già vent’anni fa, La Valle era finito al centro di alcune indagini. Ma era uscito sempre assolto, fino al processo concluso nel febbraio 2018, l’anno successivo la sentenza è stata confermata in appello: 13 anni di carcere, per associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, violenza privata, gioco d’azzardo, usura, lesioni e per tutta una serie di reati fiscali. Le indagini del Gico della Guardia di finanza hanno sorpreso l’imprenditore mentre imponeva i videopoker nei locali di Messina e garantiva la protezione del clan ai negozianti accondiscendenti. Il clan Trovato organizzava dei veri e propri servizi di vigilanza. Chi si ribellava al sistema subiva ritorsioni. Fu pestato in modo violento anche un giovane cinese che era stato fortunato nel momento sbagliato, ovvero aveva fatto tanti soldi al videopoker il giorno in cui la macchinetta era stata manomessa per far vincere gli amici dei boss.

“Domenico La Valle è soggetto socialmente pericoloso”, hanno scritto i giudici del Tribunale di Messina. “Aveva anche una significativa disponibilità di risorse finanziarie, rese accessibili agli esponenti del clan, in assolvimento del suo ormai accertato ruolo di cassiere”. Per i giudici, c’è una “assoluta assenza di uniformità nel rapporto reddito-patrimonio”, per questa ragione è scattato il sequestro.

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