Nel cuore della provincia di Palermo, fra rovi e masserie abbandonate, i boss di Cosa nostra hanno lanciato il loro ultimo investimento. Floride piantagioni di marijuana, minima spesa, massimo guadagno. Semina ad aprile e fino ad ottobre si raccolgono migliaia di euro. L’oro verde, come ormai lo chiamano, è la risposta dei clan alla crisi delle estorsioni, sono sempre di più i commercianti che non vogliono pagare il pizzo. Così, le piantagioni di cannabis sono diventate il mezzo più facile per fare cassa, priorità per un’organizzazione mafiosa in crisi di liquidità per gli arresti e i sequestri. Ma le intercettazioni hanno svelato comunque anche questo affare delle cosche: l’ultima piantagione scoperta dai carabinieri del comando provinciale di Palermo ora diretto dal colonnello Antonio Di Stasio era dentro un casolare abbandonato di Piana degli Albanesi, 900 arbusti curati nei minimi dettagli.
Questa notte, i carabinieri del Gruppo Monreale diretto dal tenente colonnello Pietro Sutera hanno arrestato 16 persone, sono i nuovi boss della provincia, raccolti attorno al mandamento di San Giuseppe Jato, storica roccaforte mafiosa. Le indagini, coordinate dal sostituti procuratori della Dda Francesco Del Bene, Siro De Flammineis e Amelia Luise sono confluite nell’ordinanza di custodia cautelare del gip Guglielmo Nicastro. A marzo, un altro blitz aveva portato in carcere la dirigenza del clan, il personaggio più autorevole era l’81enne Gregorio
Agrigento. La sua poltrona è stata occupata velocemente da un rampante quarantenne, Ignazio Bruno. Piglio da manager, metodi sbrigativi. A Monreale, nella famiglia più importante del mandamento, si consumò uno scontro per la reggenza del clan. A colpi di pestaggi, perché il nome che si era fatto strada non era gradito. Cosa nostra torna alla violenza, senza mediazioni, senza trattative. Qualcuno dovette anche fuggire dal paese, per evitare la vendetta dei rivali.