Uno studio clinico finanziato con fondi pubblici statunitensi sta per essere condotto in Guinea-Bissau e riguarda la vaccinazione contro l’epatite B in bambini nelle primissime ore e nei primissimi giorni di vita. Il progetto prevede l’arruolamento di migliaia di neonati che verranno assegnati a gruppi distinti in base al momento della somministrazione del vaccino: una parte riceverà la dose alla nascita, mentre un’altra parte la riceverà solo dopo alcune settimane, seguendo una pratica che da tempo è riconosciuta come meno efficace nel prevenire la trasmissione del virus dalla madre al figlio. I bambini verranno poi seguiti per anni per valutare esiti generali di salute, come mortalità complessiva, malattie gravi e indicatori di sviluppo. Il finanziamento, pari a circa 1,6 milioni di dollari, è stato assegnato direttamente, senza bando competitivo, a un gruppo di ricerca danese già operativo nel paese.
Per un lettore che si avvicina a questa vicenda senza conoscenze pregresse, è necessario chiarire innanzitutto che cos’è l’epatite B e perché la vaccinazione alla nascita rappresenta uno dei pilastri della sanità pubblica. L’epatite B è una malattia virale che colpisce il fegato e che, quando viene contratta nei primi giorni di vita, evolve in infezione cronica in una percentuale molto elevata di casi. Questa cronicizzazione espone l’individuo, per tutta la vita, a un rischio aumentato di cirrosi epatica e carcinoma epatocellulare. Proprio per interrompere questo meccanismo, ben documentato da decenni di studi epidemiologici e clinici, la vaccinazione alla nascita è stata introdotta e raccomandata a livello internazionale, soprattutto nei paesi dove il virus è endemico. La sicurezza del vaccino, la sua efficacia e l’importanza del timing precoce della somministrazione non sono oggetto di dibattito scientifico attivo, ma risultati consolidati su cui si basano le politiche vaccinali globali.
All’interno di questo quadro, il disegno dello studio appare eticamente gravissimo. Rendere il ritardo della vaccinazione una variabile sperimentale significa accettare consapevolmente che una parte dei neonati affronti una probabilità più alta di contrarre un’infezione cronica prevenibile. Questo rischio non è teorico, non è incerto, non è un possibile effetto collaterale imprevedibile: è un rischio noto, quantificato e ampiamente descritto nella letteratura scientifica. Su scala individuale può sembrare astratto, ma su scala di migliaia di bambini si traduce inevitabilmente in un numero concreto di infezioni evitabili, di malattie croniche e, nel lungo periodo, di morti che avrebbero potuto essere prevenute con una vaccinazione tempestiva. Il danno atteso diventa così una conseguenza prevista e incorporata nel disegno stesso dello studio.
L’inutilità scientifica del progetto rende questo costo umano ancora più inaccettabile. Lo studio non nasce per verificare se il vaccino contro l’epatite B funzioni o se sia sicuro, perché questi aspetti sono già sostenuti da una mole di dati tale da rendere marginale qualsiasi ulteriore conferma. L’obiettivo reale è cercare o enfatizzare presunti effetti collaterali o effetti “non specifici” della vaccinazione, spostando l’attenzione da un beneficio certo e immediato verso ipotesi vaghe, difficili da interpretare e facilmente strumentalizzabili. Qualunque nuovo dato venga prodotto sarà comunque ottenuto a spese dei bambini vaccinati in ritardo, cioè di un gruppo per il quale sappiamo già che il rischio biologico è più elevato. Il rapporto tra rischio imposto e valore conoscitivo atteso risulta quindi radicalmente sbilanciato.
Questo disegno viola in modo diretto i principi fondamentali dell’etica della ricerca medica. Non minimizza il rischio quando esiste un intervento efficace e sicuro. Non offre alcun beneficio diretto ai soggetti coinvolti. Non distribuisce in modo equo rischi e benefici, perché i rischi ricadono su una popolazione vulnerabile mentre gli eventuali benefici conoscitivi, se mai emergeranno, verranno utilizzati altrove. Il consenso informato, in questo contesto, è solo formale: i neonati non possono decidere e i genitori sono chiamati a firmare in un contesto di forte asimmetria informativa e di dipendenza strutturale dal sistema sanitario locale, in un paese con risorse limitate, dove rifiutare uno studio finanziato dall’estero non è una scelta neutra. La scelta della Guinea-Bissau non è casuale. Si tratta di un paese ad alta endemia, con un sistema sanitario fragile e con minori strumenti di tutela istituzionale. Questo rende praticabile un disegno che difficilmente sarebbe stato approvato in paesi ad alto reddito, dove il ritardo intenzionale di una protezione vaccinale efficace nei neonati avrebbe incontrato ostacoli etici e legali immediati. In questo modo, una disuguaglianza strutturale viene trasformata in una condizione operativa favorevole.
A questa sostanza etica già gravissima si aggiungono criticità procedurali rilevanti. Il finanziamento è stato assegnato senza bando competitivo, escludendo qualsiasi confronto aperto tra proposte alternative e qualsiasi discussione preventiva sulla necessità stessa dello studio. Un processo trasparente avrebbe inevitabilmente sollevato domande sulla proporzionalità del rischio, sull’assenza di una reale lacuna scientifica e sull’opportunità di condurre un simile trial in una popolazione vulnerabile. Anche il percorso di approvazione etica risulta indebolito, con l’assenza di una revisione interna rigorosa da parte delle strutture statunitensi che normalmente valutano studi finanziati con fondi pubblici, soprattutto quando coinvolgono minori. Delegare la valutazione a comitati etici locali, in un contesto di forte dipendenza dai finanziamenti esterni, non compensa questa lacuna, ma la amplifica.
Un ulteriore elemento di estrema criticità riguarda il gruppo di ricerca danese a cui lo studio è stato affidato. Questo gruppo è noto da anni per aver prodotto studi fortemente controversi sugli effetti “non specifici” dei vaccini, in particolare in Africa occidentale, spesso caratterizzati da disegni osservazionali deboli, da analisi statistiche fragili e da conclusioni che non sono state replicate in altri contesti. Questi lavori sono stati più volte criticati da epidemiologi e biostatistici per problemi di fattori confondenti, selezione dei dati, cambiamenti post-hoc degli endpoint e interpretazioni che eccedono di molto ciò che i dati consentono di affermare. Nonostante ciò, gli stessi ricercatori continuano a essere coinvolti in progetti che mirano esplicitamente a rimettere in discussione pratiche vaccinali consolidate, creando un circuito chiuso in cui le ipotesi iniziali vengono riproposte senza un adeguato controllo indipendente.
Affidare a un gruppo con questo famigerato curriculum un trial che introduce deliberatamente un aumento del rischio in neonati significa consegnare la gestione di un disegno già eticamente problematico a ricercatori che hanno dimostrato in passato una tendenza a interpretare i dati in modo orientato, soprattutto quando si tratta di suggerire effetti avversi o squilibri associati alle vaccinazioni. Questo rafforza l’impressione che lo studio non sia concepito per chiarire un’incertezza reale, ma per produrre risultati funzionali a una narrativa già costruita. Questo quadro si inserisce coerentemente nel contesto politico che ha reso possibile il progetto. L’influenza esercitata da Robert F. Kennedy Jr. sulle politiche sanitarie statunitensi ha favorito un uso strumentale della ricerca come mezzo per riaprire artificialmente questioni già risolte sul piano scientifico, con l’obiettivo di scoraggiare la vaccinazione attraverso la continua ricerca di presunti rischi. Il fine è trasparente: i dati disponibili sono già sufficienti a sostenere sicurezza ed efficacia del vaccino e l’importanza della somministrazione alla nascita; ciò che si cerca ora non è conoscenza necessaria, ma materiale utilizzabile per alimentare dubbi.
Il cuore della questione resta l’esposizione deliberata di bambini a rischi evitabili, in una fase della vita in cui le conseguenze sono profonde e durature, per produrre dati che non rispondono a un bisogno scientifico reale. Su migliaia di neonati, questo significa accettare in anticipo un numero prevedibile di malattie e di morti evitabili come costo operativo di un’agenda politica. È in questo punto, più che in ogni irregolarità formale, che questo studio assume i contorni di un disegno che tradisce la funzione stessa della scienza, trasformandola da strumento di protezione dei più vulnerabili in mezzo per legittimare un disegno annunciato.