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Lo studio del neuroscienziato Vallortigara alimenta la tesi delle conoscenze innate

Ago 22, 2022

L’ultimo numero di Proceedings of the National Academy of Science US contiene un articolo dell’insigne neuroscienziato cognitivo Giorgio Vallortigara, professore all’Università di Trento-Rovereto e già direttore del Centro per la scienza della mente e del cervello. In essenza, Vallortigara e collaboratori hanno mostrato che singoli neuroni nel cervello di un pulcino appena nato sono sensibili alla “numerosità”. Su uno schermo di computer ben visibile al pulcino appare un singolo disco rosso. Nessuna attivazione di quel neurone. Ma, se appaiono cinque dischetti rossi, allora il neurone “spara” energicamente. I cinque dischetti possono indifferentemente apparire in diverse configurazioni geometriche. Stesso risultato. Il che dimostra che quel neurone non è sensibilizzato alla geometria, bensì alla pura numerosità. 
 

Era ben noto che animali adulti, in diverse specie, sono sensibili alla numerosità. Non è, quindi, una capacità limitata agli esseri umani, perché studi di comportamento in mammiferi, uccelli, rettili, pesci e perfino invertebrati hanno mostrato che esiste in tutti una sensibilità alla numerosità. Si badi bene, non contano uno, due, tre e così via, ma percepiscono grosso modo numerosità diverse. Per esempio, appunto, uno verso cinque, o cinque verso dieci, ma non nove verso dieci. Neuroni che rispondono alla numerosità astratta, indipendentemente dall’apparenza fisica (forma, colore, taglia) sono stati individuati nella corteccia parietale prefrontale nell’uomo e nelle scimmie.  Negli uccelli, tali neuroni sono stati individuati in regioni cerebrali equivalenti al prefrontale, tecnicamente designate nidopallio caudale. Questo è il caso del pulcino. Naturalmente, questa capacità numerica interviene in svariati processi cognitivi, come la formazione di memorie, l’apprendimento di regole e la pianificazione delle azioni. 
 

In un’intervista per il Foglio, chiedo a Vallortigara di illustrarci meglio questa scoperta. “Abbiamo imparato in questi anni che gli organismi biologici possiedono un ‘senso del numero’ pre-simbolico (ce l’hanno gli infanti e gli animali non-umani) che consente di discriminare le numerosità e condurre le operazioni aritmetiche. Neurologicamente si ritiene sia incarnato nei cosiddetti ‘neuroni del numero’: cellule nervose che rispondono in maniera selettiva alla numerosità e la cui attività è stata scoperta nelle scimmie adulte”.

   
Chiedo qual è l’origine di questi neuroni e se derivano la loro selettività dall’esperienza. Insomma, se la numerosità è qualcosa che si impara. Vallortigara così mi precisa: “Potrebbe, in astratto, essere imparata, a esempio, mentre gli animali assistono a eventi di addizione o sottrazione di oggetti biologicamente significativi ricevendone le ricompense o le punizioni del caso (cibo, conspecifici, partner sessuali…). Per la prima volta siamo stati in grado di registrare l’attività di singoli neuroni nel cervello di pulcini di pochi giorni di vita, che erano totalmente ingenui circa le proprietà numeriche degli stimoli presentati: dischetti colorati mostrati sullo schermo di un computer. I neuroni hanno mostrato una chiara selettività di risposta, come nelle scimmie adulte. Insomma, neuroni ‘kantiani’ che suggeriscono che, per avere la possibilità di apprendere qualcosa dall’esperienza, certe categorie di base, come quella di numero debbono essere già possedute alla nascita: sono già scritte nel cervello”.

  
Alcuni anni orsono, Vallortigara ha pubblicato un simpatico libretto intitolato “Cervello di gallina” (Bollati-Boringhieri Editore) con il sottotitolo “Visite (guidate) tra etologia e neuroscienze”. Titolo volutamente provocatorio, in quanto è usuale l’insulto “avere un cervello di gallina”, cioè essere completamente idioti. Invece, con opportuni rigorosi esperimenti, Vallortigara e il suo gruppo hanno mostrato che le galline hanno capacità cognitive superiori alle aspettative. “Cervelli che contano” (Adelphi Edizioni) è il titolo di un altro suo libro, direttamente connesso allo studio appena pubblicato.  

 

La conclusione di questo articolo merita di essere riportata letteralmente: “Questo risultato suggerisce che la percezione della numerosità è forse un tratto innato del cervello dei vertebrati”. Questa è musica per le orecchie di un inveterato innatista quale io sono e per quelle di Noam Chomsky, che ha trovato questo risultato veramente notevole. Io sono anche un kantiano inveterato. Ulteriore musica, quindi.

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