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Lo stop Unicredit-Mps riaccende il risiko bancario

Ott 25, 2021

AGI –  Roma-Bruxelles-Milano: è questo l’asse su cui, dopo l’ufficializzazione dello stop alle trattative fra il ministero dell’Economia e delle Finanze e Unicredit per la messa in sicurezza definitiva del Monte dei Paschi, sarà disegnato il futuro assetto del mondo del credito italiano.

Il governo, dopo la rottura con la banca di piazza Gae Aulenti, ha due fronti impellenti: negoziare con l’Unione Europea più tempo per la privatizzazione di Mps e portare all’approvazione la proroga degli incentivi per le fusioni almeno fino a giugno 2022, allungando i termini per la trasformazione delle Dta in credito d’imposta.

“In Italia non c’è dubbio che ci sia la necessità di un ulteriore consolidamento del sistema bancario, credo che sia interesse del Paese che ci possano essere tre poli, che possano rafforzare ancora di più l’economia reale dell’Italia. Se esistono delle modalità per incentivare le concentrazioni, credo che sia positivo”, ha ricordato recentemente l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che guida l’unica banca italiana che possa sicuramente dirsi fuori da un risiko nel Paese, viste le operazioni fatte negli ultimi anni con le ex popolari venete e soprattutto con l’opas su Ubi Banca.      

Chi finora è stato alla finestra è Banco Bpm

L’ad Giuseppe Castagna ha spesso e volentieri spiegato come l’istituto che guida sia pronto a valutare aggregazioni e operazioni straordinarie, e i colloqui con altri istituti, a partire da Bper e Credit Agricole, non sono mancati. Quello che è mancata, però, è stata la quadra che permettesse di chiudere l’operazione, talvolta, più che per tematiche di convenienza di business, per problemi relativi alla futura governance. L’esperto banchiere napoletano a inizio novembre presenterà al mercato un piano stand-alone, ma per l’istituto, il primo a fare una fusione sotto l’egida della Bce con il matrimonio fra Banco Popolare e Bpm, un nuovo m&a potrebbe essere dietro l’angolo.

Dopo il fallimento delle nozze fra Unicredit e Mps, la banca milanese ha subito smentito un’interesse per quella senese e ha negato che ci siano stati colloqui con il Mef. A tentare il colpaccio, con un matrimonio tutto milanese, potrebbe però essere la stessa Unicredit, rispolverando un’ipotesi che è già affiorata più volte nei report degli analisti e che permetterebbe alla banca guidata da Andrea Orcel di riportarsi vicino a Intesa Sanpaolo come peso sul mercato italiano. 

Anche Unicredit è chiamata alla prova del piano industriale: la data non è ancora stata comunicata ufficialmente, ma Orcel, che ha sostituito il collega francese Jean Pierre Mustier la scorsa primavera e che ha già imposto importanti novità organizzative rispetto al piano presentato a fine 2020 dal suo predecessore, ha indicato che sarà presentato in questo trimestre. Saltata la trattativa con il Mef per Mps, al ‘Ronaldo dei banchieri’ toccherà decidere se concentrarsi su come sviluppare il valore inespresso della stessa Unicredit, una banca unica per posizionamento europeo, o se virare su qualche altro obiettivo.    

Strada in salita per il Monte

Per il Monte dei Paschi, invece, la strada ora si presenta in salita, o quanto meno stretta.

Negli ultimi stress test condotti dall’Eba è stato il peggior istituto d’Europa e, in attesa che il ministero dell’Economia, che ne è il principale socio con circa il 64% del capitale sociale, individui un nuovo possibile partner, sarà necessario rafforzare la struttura di capitale con un aumento miliardario.

Anche senza arrivare alla soglia chiesta da Unicredit, che per valutare l’operazione ha chiesto che fosse neutra in termini di impatti sul suo capitale, il conto per il Mef difficilmente scenderà sotto i 2 miliardi e Roma dovrà ottenere l’autorizzazione da Bruxelles per iniettare ulteriori risorse nel Monte senza avere in mano un piano per uscirne dal capitale.

L’ad Guido Bastianini, nei mesi scorsi, ha preparato un piano per far ballare da sola la banca più antica del mondo, ma appare improbabile che il futuro di Mps possa rimanere quello di una banca autonoma. 

Fra i principali attori di un possibile consolidamento ci sono anche Bper e Credit Agricole.

L’istituto franco-italiano ha assorbito da poco il Credito Valtellinese e potrebbe proseguire con la propria politica di piccole e medie conquiste, senza cercare un’operazione trasformativa; Bper, da parte sua, ha effettuato un primo salto dimensionale nell’ambito della fusione fra Intesa e Ubi, comprando parte delle filiali cedute per motivi antitrust. Nel mirino dell’istituto modenese, che ha come primo socio Unipol, prima c’è stato un matrimonio fra pari con Banco Bpm, mentre ora è finita la Popolare di Sondrio, di cui la stessa Unipol ha quasi il 10%, e la cui trasformazione in spa sembra ormai imminente. 

Mentre la Popolare di Bari, nell’orbita di Mcc, lavora per consolidare un polo bancario del Sud Italia, sono pochi gli altri nodi che restano da sciogliere sullo scacchiere bancario italiano. Uno di questi è quello di Carige: il Fondo interbancario di tutela dei depositi, che la ha salvata, è impegnato a cercare un cavaliere per il rilancio dello storico istituto ligure.

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