• 6 Dicembre 2025 0:05

Corriere NET

Succede nel Mondo, accade qui!

Lo Stato vaticano è nato a tavola

Nov 11, 2025

AGI – “In compagnia prese moglie un frate”, dice il proverbio. E nell’anno 728 a Sutri, nel Viterbese, con un banchetto organizzato dal papa in onore del re dei Longobardi la Chiesa ottenne un “regalo” addirittura memorabile: la nascita dello Stato pontificio.

La grande Storia era passata per il cibo. Il fatto cui si fa riferimento è noto agli storici come la Donazione di Sutri, la restituzione del castello nell’antico centro sulla via Cassia, a poco più di 50 chilometri da Roma, in favore del pontefice Gregorio II (o meglio dei santi Pietro e Paolo) da parte del “generoso” Liutprando, sovrano dei Longobardi i quali “per 140 giorni – come riporta il ‘Liber Pontificalis’, libro che raccoglie le biografie dei pontefici e considerato dagli accademici fonte ‘semiufficiale’ – ne furono i padroni”. 

Finalmente la capitale universale del cattolicesimo poteva (metaforicamente) sventolare la sua bandiera in cima al Cupolone di San Pietro e mostrare di possedere un’entità politica e non solo dogmatica. Inoltre, sembra che questa volta sia stato addirittura possibile “fotocopiare” il menù che fu offerto dal santo padre al monarca. Piatto principale il pesce “sacro”, e non a caso. Infatti, l’accordo tra i due potenti fu “mandato giù” attraverso un “convivium” in cui ogni pasto aveva un suo preciso significato. 

A spiegarlo è la professoressa Francesca Pandimiglio, docente di Storia dell’arte nella Scuola secondaria di secondo grado e dottoranda di ricerca all’Università della Tuscia, concentrando i suoi studi nell’arco di tempo che va dall’archeologia cristiana ai popoli barbarici.

“Atti ufficiali su come venivano fatte le imbanditure dei pranzi e delle cene tra i Longobardi – puntualizza la prof – ovviamente non esistono. Però ci sono elementi riguardanti i prodotti e le ricette: le fonti sono le cronache e le citazioni di Paolo Diacono”.

Paolo – nato in una famiglia aristocratica di Cividale del Friuli e (dice la tradizione) morto monaco benedettino a Montecassino, nel Frusinate (720 circa-799) – ha dedicato buona parte della sua vita a scrivere la biografia dei barbari d’oltralpe, prima federati dei Romani e poi, con lo sgretolarsi dell’impero, con re Alboino arrivati attraverso il Friuli e dilagati da Nord a Sud dell’Italia regnando per oltre duecento anni, dal 568 al 774. In pratica, Diacono – come scrive nel suo libro “Voci dai secoli bui” lo storico Stefano Gasparri – è stato “autore di una delle cronache più famose dell’intero medioevo europeo, la ‘Storia dei Longobardi’”. 

È basandosi su questi documenti che la docente ha riproposto il menù di quel celebre giorno. La lista è stata pubblicata per la prima volta tre anni fa sulle pagine del settimanale della Tuscia “La Loggetta”. E da allora la ricercatrice ne parla alle giornate organizzate dal Gruppo archeologico “Noukria”, antico nome del comune di Nocera umbra che ospita gli incontri e dove nell’estate del 2022, al primo convegno europeo su “I cibi dei Longobardi”, una sezione è stata dedicata proprio al “Convivium con re Liutprando e papa Gregorio II in occasione della redazione e consegna della Donazione di Sutri”, (ri)servendo perfino la carrellata di piatti ai partecipanti.

“Il re Liutprando si definiva ‘catholicus’, in quanto istituito come sovrano per volere divino – scrive Pandimiglio – e questo fa supporre che a tavola ambedue (papa e re, ndr) prediligessero degustare prevalentemente il pesce, decisamente più salutare, raffinato e considerato sacro rispetto alla carne”.

Quindi l’esperta ipotizza tre carte di pietanze per il ‘convivium’ di Sutri. “Una prima lista di imbandigione – continua la prof – è con una vivanda tipica, la ‘puls’, ovvero polenta di farro e miglio, ma anche di ‘roveja’, legume simile al pisello tipico della vallata di Civita di Bagnoregio e di Cascia, in Umbria; oppure – prosegue – di farina di castagne prevalentemente dei boschi della zona, nei pressi di Sutri e dei Cimini, condita con lardo e tartufo e accompagnata da una zuppetta di erbe di campo o dalla vellutata di ortica e guanciale detto ancora oggi ‘del Duca’”. 

Poi segue la seconda lista, con “cinghiale alla melangola, o arancio amaro” – suggerisce la ricercatrice – che poteva essere accompagnato da altra cacciagione, come il fagiano alla mostarda, oppure il coniglio farcito, detto alla longobarda, con ripieno di carne tritata, uova, pinoli, formaggio morbido e mele. I Longobardi – aggiunge Pandimiglio – gustavano anche il pesce di fiume e di lago condito con l’ossimello, una salsa liquida ottenuta mescolando due parti di miele e una di aceto. Il pesce che maggiormente veniva degustato era il merluzzo e le aringhe, oltre a un’ampia varietà di pesci d’acqua dolce e salata”.

Dunque i dolci, per esempio il “nucato”: “Un vino speziato e aromatico – spiega la prof – utilizzato fino al XVII secolo”. E infine la colomba: “La storia – racconta Pandimiglio – narra di una fanciulla prigioniera la quale, per suscitare la clemenza di re Alboino preparò e donò un dolce a forma di colomba. La pietanza risultò essere davvero eccezionale, tanto che il re graziò la giovane e la lasciò libera”.

L’ultimo incontro che si è svolto a Nocera Umbra ha riguardato l’artigianato orafo dei Longobardi, mentre i precedenti, rispettivamente, hanno trattato i tessuti, i corredi e il cibo del popolo del Nord Europa. Il prossimo? “Non si sa – dice l’instancabile fondatore del Gruppo archeologico “Noukria”, Angelo Brancaleone, 70 anni, ex ispettore del lavoro appassionato di storia – forse sarà sulla superstizione longobarda”.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Guarda la Policy

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close