Google ha sviluppato AI co-scientist, un sistema di intelligenza artificiale progettato per affiancare i ricercatori nella formulazione di ipotesi scientifiche e nella pianificazione di esperimenti. L’idea è quella di velocizzare il processo di scoperta, riducendo il tempo necessario per passare dai dati alle ipotesi testabili. Non si tratta di un semplice strumento di analisi automatizzata, ma di un sistema capace di simulare alcuni aspetti del metodo scientifico: genera ipotesi, le esamina criticamente e ne propone versioni raffinate, ottimizzando il percorso della ricerca.
Il modello su cui si basa AI co-scientist è Gemini 2.0, organizzato in un’architettura multi-agente. Funziona così: un agente genera ipotesi a partire dai dati disponibili, un altro le sottopone a revisione critica, individuando incongruenze e punti deboli, mentre un terzo le classifica in base alla loro plausibilità e rilevanza scientifica. Il processo non è statico, perché il sistema impara progressivamente dai risultati ottenuti, adattando le strategie e ottimizzando le proposte. Lo scopo non è sostituire il ricercatore umano, ma aumentare la capacità di esplorare scenari alternativi, accelerando il passaggio dall’osservazione alla verifica sperimentale.
I primi test hanno dimostrato il potenziale di questa tecnologia. Un esempio concreto è la ricerca sulla fibrosi epatica, una malattia cronica caratterizzata dalla formazione di tessuto cicatriziale nel fegato. Il sistema ha analizzato dati sperimentali esistenti e ha suggerito farmaci già approvati per altre patologie che potrebbero avere un effetto positivo sulla progressione della malattia. Per verificare la validità delle ipotesi generate dall’IA, i ricercatori hanno eseguito test in vitro utilizzando colture cellulari di epatociti e fibroblasti epatici. I composti identificati dal sistema sono stati somministrati a cellule sottoposte a condizioni che mimano il microambiente fibrotico, valutando la riduzione dei marker molecolari associati alla fibrosi, come l’espressione di collagene e TGF-β. I risultati preliminari hanno mostrato che alcuni dei farmaci suggeriti dall’IA effettivamente riducevano la deposizione di matrice extracellulare, indicando un possibile effetto terapeutico. A seguito di questa prima validazione, i composti selezionati sono stati ulteriormente testati su modelli animali di fibrosi epatica, per confermare il loro effetto in un contesto fisiologico più complesso. Alcuni dei trattamenti identificati hanno dimostrato una riduzione significativa della fibrosi nei modelli murini, fornendo una base per studi più approfonditi.
Un altro test ha riguardato la regolazione delle proteine cellulari. Analizzando grandi dataset, il sistema ha individuato correlazioni tra specifiche modificazioni chimiche delle proteine e funzioni biologiche cruciali, suggerendo che alcune di queste alterazioni potrebbero essere regolatori chiave di processi cellulari ancora poco compresi. Per verificare questa ipotesi, i ricercatori hanno condotto esperimenti utilizzando proteomica quantitativa e saggi di interazione proteina-proteina. In particolare, l’attenzione si è concentrata su modificazioni post-traduzionali come la fosforilazione e l’acetilazione, valutando il loro impatto sulla stabilità e l’attività funzionale di specifiche proteine regolatrici. Attraverso tecniche di spettrometria di massa ad alta risoluzione, sono state analizzate le differenze nei profili di modificazione tra condizioni sperimentali differenti, confermando che alcune delle proteine segnalate dall’IA subivano cambiamenti strutturali rilevanti per il controllo della trasduzione del segnale cellulare. I risultati ottenuti sono stati poi validati attraverso esperimenti di knockdown genico, in cui i livelli delle proteine target sono stati ridotti artificialmente mediante RNA interferente, dimostrando un effetto diretto sui percorsi molecolari ipotizzati dal sistema.
Uno degli aspetti più rilevanti di AI co-scientist è la possibilità di interazione diretta con i ricercatori. Il sistema accetta input in linguaggio naturale: si può descrivere un problema e ottenere una serie di ipotesi testabili, accompagnate da riferimenti alla letteratura scientifica e suggerimenti su come impostare gli esperimenti. Questo lo distingue da altri strumenti basati su AI, che si limitano a trovare correlazioni nei dati senza fornire un vero supporto concettuale.
L’elemento chiave è che l’IA non sostituisce il ragionamento scientifico, ma ne velocizza alcune fasi. La generazione di ipotesi è un processo che richiede tempo: leggere la letteratura, individuare schemi nei dati, progettare esperimenti per verificare un’idea. Se parte di questo lavoro può essere automatizzato, i ricercatori possono concentrarsi sulle fasi più critiche: la validazione sperimentale e l’interpretazione biologica dei risultati. In un contesto in cui la mole di dati cresce a ritmi esponenziali, strumenti del genere potrebbero diventare essenziali per non lasciare che scoperte potenzialmente utili restino sommerse nel rumore di fondo.
Certo, siamo ancora nelle fasi iniziali. La validazione dei risultati ottenuti resta un passaggio essenziale, e nessuna IA può ancora sostituire l’intuizione di uno scienziato esperto. Ma i primi risultati dimostrano che un approccio basato su agenti intelligenti, in grado di generare e testare ipotesi in modo dinamico, può cambiare il modo in cui si fa ricerca. Non è solo questione di velocità, ma di capacità di esplorare percorsi che altrimenti richiederebbero anni di lavoro. Se il modello continuerà a dimostrarsi efficace, potremmo trovarci di fronte a una nuova fase nella collaborazione tra intelligenza artificiale e scienza.