L’ombra lunga della crisi di Alitalia torna ad allungarsi sugli aeroporti milanesi. Ma questa volta – contrariamente a quanto successo nel 2007 – i guai della ex-compagnia di bandiera non dovrebbero fare troppi danni sotto la Madonnina. Il Comune (preoccupato per una sforbiciata ai generosi dividendi della Sea) e la società di gestione degli scali hanno acceso un faro da qualche giorno sulla telenovela dell’aerolinea. Ma le prime conclusioni dei tecnici messi al lavoro sul dossier sono chiare: anche nella peggiore delle ipotesi – leggi il fallimento della società – i contraccolpi per le infrastrutture aeroportuali della città sarebbero relativamente limitati.
L’EVENTUALE CRAC
Malpensa, sedotta e abbandonata 10 anni fa da Alitalia, non avrebbe anzi quasi alcun danno. Anche perché la compagnia gestisce da lì solo tre voli, Tokio, New York e Abu Dhabi. Qualche grattacapo in più, in teoria, potrebbe averlo Linate. Non fosse altro perché la quota degli aerei con livrea tricolore al Forlanini è superiore al 55%. Un eventuale crac però – sono convinti in Sea – avrebbe effetti solo a brevissimo termine, visto che per rimpiazzare i voli – al netto di un’inevitabile stagione (almeno sei mesi) di stallo ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta: sul tavolo di Assoclearance l’autorità incaricata di gestire i diritti di decollo e atterraggio in Italia, ci sono quasi mille richieste per volare sul city- airport milanese. E una volta esperiti i tempi tecnici per la riassegnazione e per consentire alle compagnie di riorganizzare i loro operativi, Linate potrebbe tornare a registrare il tutto esaurito sulle piste.
A dare tranquillità a Palazzo Marino e alla Sea ci sono i numeri. Il vero colpo del ko Alitalia l’ha tirato a Milano nel 2007, quando ha deciso di smontare la sua presenza a Malpensa per fare di Fiumicino il suo ultimo hub. Gli effetti collaterali di quella decisione sono stati a suo tempo devastanti: i passeggeri allo scalo in brughiera sono crollati dai 23,8 milioni del 2007 ai 17,5 del 2009. Poi, un aereo alla volta, lo scalo ha recuperato terreno grazie prima alle low-cost (Easyjet da sola rappresenta il 31% dei passeggeri) e ora a una netta ripresa pure dei collegamenti intercontinentali. Nel 2016 i viaggiatori in transito ai check-in dell’ex-hub erano già 19,4 milioni.
TASSI IN CRESCITA
E quest’anno il traffico sta crescendo in modo esponenziale, con tassi largamente superiori alle due cifre sin da gennaio. Ad aprile il traffico è cresciuto addirittura del 22%. Volumi che non dovrebbero subire contraccolpi dalla crisi Alitalia visto che in quel mese il volume era pari solo all’1,3% del totale. Su Linate il discorso è appena più complesso. L’Alitalia non ha mai mollato il Forlanini. Anzi, ha fatto cassa affittando i suoi slot ai partner di SkyTeam (in modo un po’ autolesionista) per portare i passeggeri verso Parigi e Amsterdam. Rubandoli in sostanza ai suoi servizi intercontinentali da Roma. E ha difeso con i denti i suoi diritti di decollo e atterraggio, utilizzandoli quel tanto che bastava per non essere costretta a restituirli all’Authority.
IL CROLLO DELLA NAVETTA
A ridimensionare i servizi dell’aerolinea è stata negli ultimi anni solo l’alta velocità. La concorrenza del treno sulla Milano Roma ha pressoché dimezzato il traffico sulla navetta Linate- Fiumicino, scesa da 2,4 a 1,2 milioni di passeggeri annui.
Cosa succederà se il primo operatore al Forlanini salterà? Le ipotesi sono due: un singolo vettore (Lufthansa, scommettono i bookmaker) potrebbe rilevare le spoglie del gruppo. Con nel mirino proprio i preziosissimi slot che hanno in pancia a Fiumicino e al city-airport. Se invece si procederà a una vendita a pezzi, i diritti di decollo e atterraggio tornerebbero per la riassegnazione nelle mani di Assoclearance. Che li girerebbe ai concorrenti, con la priorità a chi già opera dallo scalo. Tempo sei-dodici mesi, garantiscono gli studi interni in Sea, e tutto tornerebbe come prima. Si vedrà se è davvero così e se non si rischia, come è successo con Malpensa,
Linate, tra l’altro, ha in programma nei prossimi due anni un importante restyling per ammodernare le strutture e rifare la pista. E proprio le difficoltà di Alitalia, per assurdo, potrebbero consentire di accelerare i tempi. Magari programmando i lavori (che prevedono due mesi di chiusura) nel periodo in cui in teoria i contraccolpi del mini-dehubbing potrebbero essere maggiori.