Roma – Immaginate di prendere tutti i libri scritti nella storia dell’umanità e di immagazzinarli in uno spazio grande quanto un francobollo. E’ questa l’incredibile potenza dell’hard disk più piccolo del mondo, capace di sfruttare gli atomi per memorizzare i bit con una densità 500 volte maggiore rispetto ai migliori dispositivi attualmente in commercio. Lo hanno realizzato i ricercatori del Kavli Institute of Nanoscience presso l’Università di Delft, nei Paesi Bassi, che ne illustrano caratteristiche e potenzialità sulla rivista Nature Nanotechnology.
”Si tratta di un passo avanti molto importante”, spiega Luca Trupiano, tecnologo dell’Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Informazione ‘A. Faedò del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Pisa. ”Anche se al momento questo hard disk funziona solo in laboratorio, ed è ben lontano dalla produzione industriale, avvicina la possibilità di creare dispositivi elettronici portatili dalla memoria infinita, così come infrastrutture e datacenter più piccoli con consumi energetici più bassi”.
La parola chiave è miniaturizzazione, sempre più importante in un mondo che produce oltre un miliardo di gigabyte di nuovi dati al giorno. La soluzione al problema sta nell’infinitamente piccolo, come aveva teorizzato il fisico premio Nobel Richard Feynman. Fu lui, nel 1959, a lanciare per primo la sfida ai colleghi durante un convegno, ipotizzando che si potesse immagazzinare un’informazione per atomo. Proprio in suo onore, i ricercatori olandesi hanno usato la loro nuova tecnologia per memorizzare uno stralcio di quel discorso su un’area di soli 100 milionesimi di millimetro.
Il segreto di questa super memoria sta in una piccola superficie di rame, sulla quale gli atomi di cloro si dispongono formando una scacchiera: quando manca un atomo, si forma uno spazio vuoto, che può essere riempito trascinando gli atomi vicini con l’ausilio dell’ago di uno speciale microscopio a effetto tunnel. Proprio come accade con le tesserine numerate del gioco del 15, i buchi possono essere spostati, formando così uno schema preciso che forma bit, lettere, parole e perfino testi interi. Gli spazi vuoti possono essere sistemati anche in modo da formare dei segnali (simili a Qr code) che forniscono informazioni, ad esempio indicando se c’è un guasto dovuto ad un difetto a livello atomico.
Grazie a questa tecnologia, i ricercatori sono riusciti a sviluppare una memoria di un kilobyte, dove ognuno degli 8.000 bit è rappresentato dalla posizione di un singolo atomo. Una prova di principio importante, dunque, che però è ancora lontana da applicazioni pratiche: l’hard disk, infatti, funziona al momento solo in condizioni di vuoto spinto a 200 gradi sotto zero.