L’Epa ha deciso di riscrivere la propria spiegazione ufficiale sulle cause dei cambiamenti climatici. Dalla pagina dedicata alle “cause del cambiamento climatico” scompare ogni riferimento ai combustibili fossili e all’azione umana come motore principale del riscaldamento globale. Restano solo le cause naturali: variazioni dell’orbita terrestre e dell’asse di rotazione, cicli dell’attività solare, eruzioni vulcaniche, cambiamenti nella riflettività del pianeta. La pagina oggi descrive un clima che cambia per dinamiche geofisiche secolari, senza alcun ruolo riconosciuto alla combustione di carbone, petrolio e gas.
Basta confrontare il testo attuale con le versioni archiviate per capire la portata dell’operazione. Prima, la pagina spiegava che i processi naturali possono giustificare i cambiamenti climatici prima della Rivoluzione industriale, ma che l’aumento recente delle temperature non si spiega con questi meccanismi: veniva indicato esplicitamente che le attività umane, soprattutto l’uso massiccio di combustibili fossili, hanno alterato la composizione dell’atmosfera, aumentando la concentrazione di gas serra e trattenendo più calore. Oggi, quella frase è sparita; spariti anche i riferimenti diretti alle emissioni, ai settori responsabili, ai grafici che mettevano nello stesso quadro CO₂, combustibili fossili e tendenza al rialzo della temperatura media globale.
Non solo: con la stessa “pulizia” sono stati rimossi collegamenti a pagine che descrivevano gli impatti del riscaldamento su salute, agricoltura, oceani, eventi estremi, e in alcuni casi i link reindirizzano ora a messaggi di errore o a contenuti generici. La pagina che spiegava come le emissioni di origine umana stiano alterando il clima degli Stati Uniti, con mappe e indicatori regionali, è stata semplificata o svuotata. In parallelo, il linguaggio che riportava il consenso scientifico internazionale – per esempio quello maturato nei rapporti dell’Ipcc sull’origine antropica del riscaldamento – è stato tolto dalle parti più visibili del sito.
Il momento scelto non è casuale. Da mesi l’agenzia è impegnata in un processo formale per rovesciare la constatazione del 2009 secondo cui i gas serra emessi dall’uomo mettono in pericolo la salute pubblica e l’ambiente. Quella “endangerment finding” è il fondamento giuridico che obbliga l’Epa a regolamentare le emissioni: se la si indebolisce o la si annulla, viene meno l’obbligo stesso di intervenire su centrali elettriche, industria e trasporti. In parallelo è stato avviato l’iter per deregolamentare le emissioni di gas serra delle centrali termoelettriche, ribaltando la traiettoria impressa dalle norme approvate negli anni precedenti per ridurre la CO₂ del settore energetico.
Tutto questo avviene in un contesto in cui la letteratura scientifica converge su alcuni punti essenziali, difficili da fraintendere. I combustibili fossili sono responsabili di circa il novanta per cento delle emissioni di CO₂ di origine antropica; queste emissioni spiegano praticamente tutto l’aumento di temperatura osservato negli ultimi decenni, mentre i contributi di cicli solari e variazioni orbitali risultano trascurabili sulla scala temporale attuale. Le misure satellitari non mostrano aumenti significativi nell’energia proveniente dal Sole mentre le temperature salgono; al contrario, il segnale termico osservato nell’atmosfera corrisponde esattamente a quello previsto da un rafforzamento dell’effetto serra.
Cancellare queste informazioni dal sito dell’agenzia non cambia la realtà fisica, ma cambia in profondità le condizioni cognitive in cui cittadini, amministratori e giudici prendono decisioni. Un ente federale come l’Epa non è un blog di opinioni: è la fonte che molti soggetti usano come riferimento per capire cosa sappiamo sul clima, quali siano le cause e quali gli scenari futuri. Se da quella fonte scompaiono CO₂, combustibili fossili e attività umane, l’immagine che ne deriva è quella di un pianeta che si riscalda “da solo”, per cause costantemente fluttuanti, sulle quali l’azione politica sembrerebbe avere poco o nulla da dire. È un messaggio funzionale a chi ha interesse a prolungare lo status quo energetico e ad attaccare ogni tentativo di regolamentare carbone, petrolio e gas.
La stessa logica di riscrittura si vede all’opera in altre aree della conoscenza che dovrebbero restare ancorate ai dati e non alle convenienze. Nel campo della sanità pubblica, da tempo si osservano tentativi di riscrivere le pagine istituzionali su vaccini, malattie infettive, misure di prevenzione, sostituendo formulazioni basate sull’evidenza con testi più consoni alla diffidenza ideologica di una parte dell’elettorato. Anche lì il meccanismo è lo stesso: si interviene sul documento che il cittadino consulta, lo si modifica riga per riga, e si lascia che la nuova versione, apparentemente neutra, eroda anni di lavoro di sintesi scientifica.
La differenza, nel caso del clima, è che la scala del danno potenziale è globale e irreversibile su tempi umani. Il riscaldamento già in atto sta moltiplicando ondate di calore che uccidono centinaia di migliaia di persone l’anno, aggravano malattie cardiovascolari e respiratorie, rendono insalubri intere città nelle stagioni estive e riducono la capacità di lavoro all’aperto. Analisi recenti stimano che l’aumento delle temperature sia oggi collegato a un decesso al minuto nel mondo e a centinaia di miliardi di ore di lavoro perse, con ripercussioni economiche e sociali enormi.
Sul fronte ecologico, la combinazione tra riscaldamento, inquinamento e perdita di biodiversità sta producendo danni valutabili in decine di migliaia di miliardi di dollari all’anno, con il contributo centrale dell’industria fossile e di sistemi produttivi energivori. Rapporto dopo rapporto, si accumulano numeri che mostrano come le esternalità del modello energetico attuale – eventi estremi, siccità, inondazioni, collasso di ecosistemi – abbiano un costo che supera largamente quello delle misure di mitigazione. Eppure, mentre questi dati vengono discussi nelle sedi internazionali, un’agenzia chiave di uno fra i più grandi emettitori storici di gas serra sceglie di cancellare dal proprio sito il collegamento fra quei danni e le cause che li producono.
Qui sta il punto politico e morale della vicenda. Chi decide di riscrivere la pagina dell’Epa sulle cause del cambiamento climatico non sta semplicemente cambiando un testo; sta usando il potere istituzionale per allontanare la responsabilità da un modello energetico preciso, a beneficio di interessi che da quel modello dipendono. Non ci sono nuove scoperte scientifiche a giustificare il cambiamento; non esiste un dibattito serio nella comunità dei climatologi sull’origine antropica del riscaldamento recente. C’è solo la volontà di un blocco politico, legato al mondo dei combustibili fossili e alla narrativa Maga, di liberarsi dell’obbligo di agire, smontando prima il consenso informativo e poi il quadro regolatorio che da quel consenso discende.
Assumersi la responsabilità di una scelta del genere significa assumersi anche la responsabilità delle sue conseguenze concrete. Ogni anno di ritardo nella riduzione delle emissioni si traduce in ulteriori tonnellate di CO₂ accumulate in atmosfera, in ondate di calore più frequenti, in tempeste e alluvioni più distruttive, in raccolti compromessi, in migrazioni forzate. Non è un rapporto astratto: sono vite umane, sistemi sanitari sotto pressione, comunità costrette a ricostruire case e infrastrutture dopo disastri sempre più violenti.
Quando un’agenzia che dovrebbe proteggere la popolazione sceglie di cancellare dal proprio sito la causa principale di questi rischi, compie un atto di negligenza deliberata che va ben oltre il conflitto tra scienza e ideologia. È una decisione che, in un mondo già in rapido surriscaldamento, si traduce in più morti, più rischi, più catastrofi. Chi firma e difende questa riscrittura, per fedeltà a un’agenda ideologica gretta e brutale, condivide la responsabilità di ogni passo verso un clima sempre più instabile e ostile. Il ballo dell’idiozia cieca, salita al governo negli Usa ma in rapida espansione nel mondo, va fermato ad ogni costo.