AGI – Chi ci viveva sta da amici o parenti, e sono la maggior parte, o nelle abitazioni offerte della Regione e del Comune. “Tutti fanno fatica a dimenticare, qualcuno ci è rientrato solo di recente” spiega all’AGI Mirko Berti, il portavoce degli sfollati.
Per farlo, “ha dovuto prenotare la visita nella sua casa, indossare le scarpe anti infortunio e una mascherina Ffp4 perché l’aria è ancora densa di sostanze pericolose”. Lunedì 29 agosto è un anno che la Torre del Moro di via Antonini, sud di Milano, si è squagliata tra le fiamme nei suoi sessanta metri di baldanza: un edificio giovane, con dieci anni di vita, la cui forma richiamava una nave a vele spiegate, dove famiglie e tanti ragazzi, tra cui il cantante Mahmood, erano saliti ‘a bordo’ con un tesoro di risparmi e speranze. La Grenfell Tower italiana, è stata definita, ma senza vittime a differenza di quanto accaduto col gigante londinese mangiato dal fuoco.
Il patto tra gli inquilini
“Tutto è fermo in questo momento – spiega Berti -. La situazione del palazzo è anzi peggiorata. L’incendio ha distrutto 17 degli 82 appartamenti, altri 16 sono danneggiati in modo grave dal fumo, dall’acqua, dalle muffe e da un anno di abbandono”.
Chi ci viveva ha stretto un patto: tornare in quella Torre. “Il contatto tra noi è costante e si cerca di aiutare anche chi è in difficoltà. La maggior parte delle persone sta da parenti o persone a cui è legato, qualcuno ha comprato o affittato un’altra casa. E poi c’è chi ha scelto di andare nelle abitazioni messe a disposizione dal Comune con dei requisiti, tra cui un certo reddito e non avere altre proprietà immobiliari sul territorio nazionale, e dalla Regione”.
Alcune banche hanno bloccato i mutui per 12 mesi, altre per 36. Le spese condominiali vanno ancora pagate per ragioni di sicurezza.
I progetti delle archistar
La Torre ridotta a scheletro rinascerà, è la promessa che è stata fatta in Regione nel maggio scorso anche dagli architetti Stefano Boeri e Alfonso Femia. Hanno messo a disposizione a titolo gratuito le loro idee, immaginano un grattacielo verde, con le vele coperte da alberi e foglie, e la ceramica protagonista. Tuttavia ogni cosa è sospesa perché, dopo la presentazione dei progetti, l’assicurazione ha chiesto al Tribunale di fare una stima sui costi relativi alla ricostruzione e si è in attesa delle consulenze delle parti e di quella disposta dal giudice.
Intanto, la Procura continua gli accertamenti nell’ambito dell’inchiesta che vede indagati legali rappresentanti e responsabili delle società coinvolte nella costruzione. “Un aiuto è arrivato dallo splendido e compianto Ennio Doris che ci diede 100mila euro e da tante persone semplici mentre ci aspettavamo di più dalle istituzioni e dagli imprenditori”.
Lunedì si ritroveranno tutti in un incontro pubblico. “In molti pensano che non siamo vittime perché non siamo morti – considera Berti – ma siamo vittime lo stesso, non solo per l’aspetto economico ma anche a livello umano. Abbiamo perso tutto. Alcune cose si possono ricomprare ma altre no. Penso al mio pianoforte, a dei libri d’arte introvabili, ai ricordi di mia madre. Gli oggetti parlano di noi, siamo noi. E un pezzo di noi lo abbiamo perso per sempre”.